I 150 anni di Unità li dobbiamo alla fatica e alla sofferenza di Cavour

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I 150 anni di Unità li dobbiamo alla fatica e alla sofferenza di Cavour

19 Giugno 2011

Signor Presidente, la ringrazio e ringrazio anche per questa seduta, perché penso che la commemorazione del conte di Cavour sia il giusto complemento alle celebrazioni per il 150º anniversario dell’Unità d’Italia; non solo perché Cavour è stato di gran lunga il maggior artefice dell’Unità e nemmeno solo perché il conte aveva un profilo biografico di interesse tale che ha negli anni suscitato l’attenzione degli storici stranieri ancor più che degli storici italiani.

A questo proposito vorrei leggere solamente poche parole dell’incipit di una delle più belle biografie, scritta da Italo De Feo, il padre della nostra collega Diana, che, in realtà, ancor più che una biografia è un vero e proprio romanzo, soprattutto sulla formazione del conte: «Ebbe molte esperienze: fu beniamino di graziose fanciulle e donne, affarista e giocatore d’azzardo, gentiluomo di campagna e maestro di agricoltura, esperto di economia e finanza, studioso di storia e di problemi sociali. Amò la tavola e la musica, si distinse nelle discipline matematiche, fu buon oratore e infine giornalista e scrittore efficace». Sono poche frasi, che magari oggi susciterebbero l’attenzione perversa di qualche procuratore, ma che invece racchiudono il profilo di un uomo eccezionale sotto tutti gli aspetti.

Credo che però la vicenda di Cavour, al di là della sua biografia, abbia un nesso profondo con questi 150 anni della nostra storia, perché si interseca con la difficoltà del fare l’Italia e del fare gli italiani. Vedete, signor Presidente e colleghi senatori, in realtà noi celebriamo oggi una storia che è stata una storia difficile e molto spesso anche una storia drammatica. L’unità italiana può considerarsi a tutti gli effetti un miracolo della politica e ci fa comprendere come la politica, oltre che una brutta cosa, come oggi viene spesso – troppo spesso – rappresentata, può essere una risorsa che trasforma il possibile in reale. Non c’erano infatti le condizioni, 150 anni fa, perché l’Italia nascesse.

C’erano difficoltà internazionali che, al di là del genio del conte in questo ambito, non possono essere rappresentate come spesso ha colpevolmente fatto la storiografia. Non c’era nemmeno l’accordo della Francia, che pensava piuttosto ad un’unità che riguardasse solamente il Nord, con al centro uno Stato centrato sulla Toscana e un regno del Mezzogiorno sul modello di quello che fu di Murat e, dunque, sotto la stretta influenza francese.

Esistevano difficoltà note nel fronte degli unitari, perché l’idea unitaria, moderata, liberale e con forte decentramento di Cavour non era l’idea democratica, repubblicana e centralista di Mazzini. Esisteva, inoltre, una questione istituzionale irrisolta, difficoltà all’interno dello stesso côté liberale: le ha ricordate il senatore Menardi, quando ha fatto presente che l’opzione di Cavour per una monarchia parlamentare era ben diversa dall’ortodossia di una monarchia costituzionale, che non avrebbe mai previsto una comunicazione tra Parlamento ed Esecutivo, che era stata di d’Azeglio, di Balbo e che certamente era propria dei monarchi di Casa Savoia. Dunque, ribadisco, vi era da gestire uno scontro interno alla stessa parte monarchica, liberale e moderata.

Esistevano inoltre le difficoltà geografiche di unire un territorio profondamente differenziato nei suoi ordinamenti, nonché nelle sue realtà economiche. Sotto questo aspetto va ricordato che la Destra storica, e coloro i quali lavoravano con Cavour, partivano quasi tutti da posizioni influenzate dalla cultura anglosassone e per questo propensi al decentramento. Diventarono unitari per necessità e non per ideologia.

Infine, ricordo la difficoltà maggiore, quella per la quale l’Italia è stato l’unico grande Stato moderno che si è costituito contro la Chiesa, contro la Chiesa di Pio IX, la cui apertura riformista era stata ripagata con l’assassinio del suo primo ministro, Pellegrino Rossi, e che Cavour, nonostante la chiusura papalina, non ritrovarsi su posizioni di difesa della laicità francese: la laicità imposta per legge. Cavour era piuttosto per uno Stato che potesse comprendere credenti e non credenti e se proprio è necessario dare una definizione del suo atteggiamento – che in realtà non è possibile dare in quanto fortemente influenzato dalla politica e quindi incompiuto a causa della sua morte repentina – era certamente più propenso alla lezione di Tocqueville, che aveva letto negli anni giovanili, piuttosto che a quella degli illuministi francesi.

Ebbene, queste sono state le difficoltà che Cavour è riuscito a gestire politicamente per arrivare al risultato dell’unità, partendo da un’idea di nazione, signor Presidente, che non è stata l’unica idea di nazione che ha albergato alle origini del nostro percorso unitario. L’idea di nazione di Cavour si fondava sulla centralità della persona e aveva poco a che fare – lo dico con rispetto – con un’altra idea che invece si fondava sul binomio nazione-popolo: quella mazziniana. Non era un’idea idealista ma piuttosto un’idea empirico-costituzionale; non era un’idea intrisa di democrazia, ma piuttosto di libertà. E soprattutto, proprio perché aveva conosciuto le difficoltà della politica estera, l’idea di nazione di Cavour considerava l’unità come un punto d’arrivo da consolidare e rafforzare, spendendo il massimo delle energie nella politica interna, piuttosto che un punto di partenza per tornare alle glorie del passato di cui le italiche genti erano state protagoniste.

Ora, nelle temperie difficili di un’Italia in cammino verso l’obiettivo di fare gli italiani, l’idea di Nazione di Cavour è stata spesso sconfitta e soccombente.

Lo è stata certamente degli anni di fine secolo, quando, di fronte al nazionalismo imperante a livello europeo, alla crisi del modello inglese in campo politico-istituzionale e, invece, all’esplodere del cosiddetto modello tedesco che si era affermato sulla punta delle baionette dopo Sedan, la competizione interna vide contrapposti, da una parte, i sostenitori di una nazione estrema che si faceva nazionalismo e, dall’altra, una forza nuova che aveva il suo principio di fondo non tanto nella nazione quanto nella classe; mi riferisco al nascente movimento socialista. All’interno di questa divaricazione e di questa radicalizzazione del conflitto, certamente a soccombere fu l’idea nazionale di cui Cavour, con il suo liberalismo, si era fatto portatore.

Certamente l’idea di Cavour soccombette ancora al momento dell’avventura in Libia e al momento della partecipazione alla Prima guerra mondiale (almeno a Caporetto). E soccombette anche nel momento in cui lo Stato liberale crollò a favore del fascismo. Perché, vede signor Presidente, dubito che il fascismo possa considerarsi un anti-Risorgimento, così come Salvatorelli ha pure autorevolmente sostenuto. Nel fascismo è stata presente l’idea di nazione risorgimentale, ma non certamente nella versione cavourriana.

Così come, quando il fascismo cadde e si tornò alla democrazia, noi riacquistammo quella libertà che è componente essenziale dell’idea di nazione da cui Cavour era partito ma non riacquistammo l’idea di patria, a causa dell’8 settembre e anche a causa del fatto che la libertà ci provenne soprattutto dagli alleati e, infine, a causa del fatto che i partiti prevalenti non avevano più le loro radici e il loro DNA nella stagione risorgimentale.

Da qui, signor Presidente, i limiti che a lungo ha dovuto subire l’idea di nazione, al punto tale che fu un siciliano il maggiore biografo di Cavour. Mi riferisco a Rosario Romeo, il quale, parlando del senso comune oltre che della storiografia corrente, parlò appunto della storiografia risorgimentale come della storiografia della disfatta, perché per molti l’origine di tutti i guai dell’Italia sarebbe stata in quell’inizio così poco produttivo e così infausto.

Oggi abbiamo rivisto molte cose sia a livello di storiografia sia a livello di senso comune; non vorrei che cadessimo nell’errore contrario: pensare che l’Unità d’Italia sia stata una passeggiata senza comprendere il dramma, la fatica, la sofferenza che c’è stata dietro l’azione dei nostri Padri fondatori, innanzi tutto di Cavour e di coloro i quali lo affiancarono: quella Destra storica grazie alla quale l’Italia si mise in cammino per una storia difficile ma che è ancora la nostra storia oggi.