I birmani sono allo stremo, ma la giunta pensa al referendum
12 Maggio 2008
Lo spot “fatto in casa” dal regime continua ad essere
trasmesso senza soste a cadenza martellante. Proposto e riproposto per
ricordare alla popolazione che bisognava andare a votare il referendum. Nelle
zone meno colpite dal disastro del ciclone “Nargis”, come previsto le urne nel
fine settimana sono rimaste aperte per non fermare l’iter di approvazione di una
costituzione che legittima ancor più il potere dei generali in Birmania.
Naturalmente, un successo oltre misura per il fronte del sì, fanno sapere fonti
governative.
C’era da scommetterci. Mentre le ragazze sorridenti vestite
di blu dalla tv ricordavano di andare a votare, per le vie del Myanmar i
soldati meno sorridenti obbligavano i cittadini a recarsi alle urne; in molti seggi
addirittura si è assistito alla registrazione dei soli dati anagrafici
dell’elettore, mentre il voto era già favorevolmente “incassato” dentro l’urna.
Nel weekend, dunque, i militari sono stati impegnati ad
archiviare la “pratica” referendaria,
dimenticandosi di distribuire viveri e primi soccorsi alla popolazione sempre
più esasperata dalla fame e senza più nulla, neppure una casa, intenta a
riciclare chiodi arrugginiti per fissare teloni di plastica recuperati alla
meno peggio e approntare rifugi di fortuna.
Gli aiuti continuano ad essere centellinati dal regime, che
ancora fa ostruzionismo ai visti dei soccorritori internazionali e promette la
distribuzione solo dopo il risultato del referendum. Ulteriori ritardi,
inoltre, sono causati dal fatto che gli aiuti devono essere dati alla
popolazione esclusivamente da organizzazioni locali. I porti sono stati
riaperti solo oggi e in giornata dovrebbe arrivare un carico di gasolio
proveniente dalla Thailandia. Sempre dalla Thailandia gli USA hanno fatto decollare
un aereo militare da trasporto C – 130 con acqua potabile, coperte e
zanzariere. Ma venerdì il Programma alimentare mondiale dell’ONU (Wfp) ha
denunciato altre due confische di carichi delle Nazioni Unite arrivati in
aereo, come già avvenuto con altri due velivoli del Wfp giunti il giorno prima
a Yangoon.
Intanto, i numeri della tragedia aumentano sempre più
drammaticamente. Il bilancio ufficiale fornito dalla giunta militare parla di
28.458 morti e 33.416 dispersi. D’altro canto, secondo il direttore regionale
di Oxfam per l’Asia orientale, Sarah Ireland, i morti rischiano di diventare un
milione e mezzo, quindici volte le stime più negative, se nelle prossime
settimane non si implementeranno notevolmente i soccorsi. A tal proposito, il commissario
europeo per gli aiuti umanitari, Lous Michel, ha convocato per domani a
Bruxelles una riunione urgente dei ministri UE per discutere sugli ultimi
sviluppi della situazione umanitaria dell’ex Birmania.
Ieri mattina una barca piena di aiuti della Croce Rossa è
affondata urtando un tronco d’albero sott’acqua mentre raggiungeva la zona di
Mawlamyinegyun. Non ci sono vittime, ma il carico è andato completamente
disperso.
Il quotidiano britannico “The Guardian” denuncia che i
generali, senza pietà, pur non avendo interrotto le esportazioni di riso, concedono
alla popolazione solo una ciotola al giorno. Per i militari al potere il riso è
la principale attività commerciale perché consente di rimpinguare le casse
statali con valuta estera.
A Bogale, un centinaio di chilometri a Sudovest di Yangon, le
acque ritirandosi hanno lasciato l’orrenda sorpresa di cadaveri in continuo aumento,
gonfi, ammassati l’uno sull’altro, morti da giorni. La gente cerca di aiutarsi
da sola; rassegnata scava con le mani tra i corpi morti. Per gli esperti ulteriori ritardi nei soccorsi possono
causare un secondo dramma tra i sopravvissuti, senza ripari né viveri sono a
rischio malaria e dissenteria.
“Mercoledì – racconta Gianrigo Marletta di “Peacereporter” – in
una baracca una giovane madre di ventidue anni ha dato alla luce un bambino.
Per una disfunzione al seno non riesce a produrre latte, quindi è costretta a
“nutrire” il piccolo con l’acqua putrida e fangosa del canale che le scorre
vicino. Non c’è acqua pulita, potabile. I contadini raccolgono quel che possono
dai campi marci”.
Il governo è arrivato a chiedere contributi e offerte ai
cittadini per aiutare le vittime del ciclone. In
realtà le fonti dell’agenzia cattolica “Asianews”, rivelano che si tratta di
una vera e propria ruberia in piena regola: “I militari – secondo l’agenzia –
confiscano materiale da negozi, fabbriche e imprese senza che nessuno possa
opporsi”.
Lo scempio impietoso del regime
continua senza scrupoli e il comportamento dei governanti locali ha suscitato
le dure critiche del presidente francese Nicolas Sarkozy, che nel discorso in
occasione della commemorazione dell’abolizione della schiavitù ha affermato come
sia impensabile che nel XXI secolo la comunità internazionale non sia libera di
portare aiuti a una popolazione colpita da eventi naturali. Dura anche la
cancelliera tedesca Angela Merkel che nei giorni scorsi aveva definito
“irresponsabile” lo stallo degli aiuti umanitari.