I boliviani riconfermano Morales ma la tensione nel paese rimane alta
12 Agosto 2008
“Patria o morte, vinceremo! Dedico la mia vittoria a tutti i rivoluzionari del mondo”, ha detto il presidente Evo Morales a una folla di sostenitori che acclamavano e sventolavano le bandiere azzurre del suo Movimento al Socialismo (Mas), oltre al tricolore nazionale rosso-giallo-verde e alla whipala: il vessillo coi sette colori dell’arcobaleno, già simbolo dell’Impero Incaico. Dopo aver appreso dei risultati del referendum revocatorio di domenica, che secondo gli exit poll gli darebbe tra il 62,4 e il 63,1% dei voti favorevoli. Anche se, a dir la verità, dallo scrutinio del primo 23% dei seggi il suo risultato favorevole sarebbe del 52%: cioè, meno del 53,7% con cui era stato eletto, alle presidenziali del dicembre 2005. Comunque, sempre nel senso di una sua riconferma.
“Il centralismo è sconfitto, adesso provvederemo a creare una nostra polizia e convocheremo elezioni per costituire un parlamento regionale”, ha detto il prefetto di Santa Cruz Rubén Costas a una folla di sostenitori che acclamavano e sventolavano il tricolore verde-bianco-verde del dipartimento. Dopo aver appreso dei risultati del referendum revocatorio di domenica, che secondo gli exit-poll gli avrebbe dato tra il 71,2 e il 79%; mentre il 73% asvrebbe preso il prefetto di Beni Ernesto Suárez; il 64% il prefetto di Tarija Mario Cossio; il 60% il prefetto di Pando Leopoldo Fernández. Santa Cruz, Beni, Pando e Tarija: i quattro ricchi dipartimenti dell’Est, che tra il 4 maggio e il 22 giugno avevano votato statuti di ampia autonomia ispirata al modello catalano, in referendum autogestiti che il governo aveva giudicato “illegittimi”.
Proprio per rispondere alla sfida Morales aveva indetto il referendum revocatorio: per sé e al contempo per otto dei nove prefetti. Nel nono dipartimento, quello di Chiquisaca, l’agitazione del capoluogo Sucre per il ripristino del rango di capitale da cui era stata privata nel XIX secolo a favore di La Paz aveva già portato alle dimissioni del locale prefetto, e all’elezione di Savina Cuéllar: una ex-militante dello stesso Mas, poi passata all’opposizione. Comunque investita da troppo poco tempo per poter essere “revocata”. In effetti, oltre a dimostrare un ampio seguito popolare Morales è riuscito a porre termine all’anomalia di due prefetti di opposizione a La Paz e Cochabamba: bastioni rispettivamente di quell’etnia aymara e di quella quechua che costituiscono il suo elettorato di riferimento. José Luis Paredes, il socialdemocratico prefetto di La Paz, avrebbe avuto infatti tra il 55 e il 60% dei voti contrari. Manfred Reyes Villa, il conservatore prefetto di Cochabamba, ha avuto un 60% di rifiuto. Anche se Reyes Villa dice di non voler riconoscere il risultato, adesso la legge dà a Morales il potere di nominare due prefetti a interim a lui favirevoli, in attesa di nuove consultazioni. Va però detto che gli elettori hanno sì confermato il prefetto del Mas di Potosí, ma hanno votato a valanga contro quello di Oruro Alberto Aguilar: 83% di no. La cosa si spiega forse meglio quando si ricorda che quattro giorni prima del voto Morales aveva lì mandato la polizia a reprimere una manifestazione di 4000 minatori che minacciavano di dinamitare un ponte per protesta contro la riforma del sistema pensionistico, e che c’erano scappati 2 morti e 38 feriti.
Tra quello eletto confermato e i tre a interim, però, i dipartimenti allineati col governo restano comunque in maggiooranza: quattro contro cinque, tra la dissidenza campanilista di Chiquisaca e quella di tipo leghista dei quattro dipartimenti orientali. Insomma, più che una vittoria è un pareggio, che dovrebbe semmai invitare a limare le asprezze e a cercare il dialogo, visto anche il modo tranquillo in cui il voto ha avuto luogo malgrado i disordini che si erano susseguiti nelle settimane precedenti. Ed è questo in particolare l’invito della gran parte del centinaio di osservatori che si sono recati a vigilare sul regolare svolgimento della consultazione. “La tavola è ora sgombra, bisogna porre mano ai problemi e bisogna dare la sensazione di regolare la questione”, ha detto in conferenza stampa l’ex-vicepresidente guatemalteco Eduardo Stein in qualità di capo della delegazione degli osservatori. “Con questi risultati, la gente sta chiedendo che i leader trovino una forma per mettersi d’accordo”.
Ma al comizio di Morales dopo i risultati la gente gridava: “mano dura! Mano dura!”. Chiedendo di applicarla contro un movimento autonomista orientale che tacciano di “fascismo” e “razzismo”, accusando la Cia di pescare nel torbido in vista di una guerra civile di tipo jugoslavo. E al comizio di Costas lo slogan era “indipendenza!”: parola in passato tabù, ma ormai considerata da molti come l’ultima risorsa nei confronti di un governo che lo stesso Costas ha tacciato di “fondamentalismo aymara”, accusando Chávez di pescare nel torbido in vista dell’imposizione di una dittatura di tipo cubano.