I cattolici italiani s’interrogano sul loro impegno nella società

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I cattolici italiani s’interrogano sul loro impegno nella società

18 Ottobre 2007

Si
apre oggi la Settimana sociale dei cattolici italiani, che si terrà a
Pisa-Pistoia fino al 21 ottobre. E’ la Settimana del centenario, perché la
prima si tenne proprio in quelle città nel lontano 1907. Il tema generale
è  Il
bene comune oggi, un impegno che viene da lontano.
Potrà essere una
passerella di relazioni e riflessioni oppure potrà essere un evento importante
se i cattolici avranno il coraggio di
affrontare il vero nodo della questione, senza delegare questo compito al Papa
e così nascondere a se stessi le divisioni interne.  Potrebbe sembrare che la
Settimana sociale debba affrontare un tema politico – il bene comune, appunto –
mentre alla base c’è un altro nodo da risolvere di tipo teologico. Lo aveva
detto il vescovo Crepaldi al convegno preparatorio di Treviso nel gennaio
scorso: «Il bene comune ha bisogno di una ragione pubblica che non escluda la
verità della fede cristiana. Ha bisogno di cattolici che non riducano la
propria fede a buoni sentimenti, ma anche ne testimonino il carattere
veritativo. Ha bisogno che carità e verità si incontrino per un servizio
intelligente all’uomo, espressione di “quel grande sì che in Gesù Cristo Dio ha
detto all’uomo e alla sua storia”».

Ora, i
cattolici per primi non sono tutti convinti che il bene comune abbia bisogno di
loro, o meglio del cristianesimo. Molti di essi ritengono che si possa
costruire la società anche senza la fede cristiana. Anzi, il cristiano, quando
entra nella scena pubblica dovrebbe mettere da parte la sua fede e adoperare
solo argomenti di ragione. I cattolici, come dice Padre Sorge, non devono
contrapporre «la propria visione a quella degli altri esasperando il
confronto», non devono pretendere di “imporre” agli altri le loro visioni
influendo sulle leggi dello stato, rinunciando così di fatto alla difesa di
valori non negoziabili.

Nel
cattolicesimo italiano sono ancora presenti due modalità diverse di intendere
il rapporto dei credenti con la società e la politica, quella della diaspora e
quella della presenza, quella dell’anonimato e quella dell’identità, quella
della ricerca e del dialogo senza punti irrinunciabili e quella della ricerca e
del dialogo ma a partire da alcuni punti irrinunciabili, quello della
democrazia come fine e quello della democrazia come strumento. Se la Settimana
sociale non affronta questo nodo è destinata a rimanere inefficace. Le
Settimane sociali, infatti, non sono convegni di studio o passerelle
accademiche, ma luoghi di produzione di pensiero da mettere alla concreta
disposizione della nazione. Se dalla Settimana sociale non emerge una “linea” e
delle “proposte” dei cattolici al paese si può dire che non serva a nulla.

La
questione decisiva è quindi se il cristianesimo sia solo “utile” alla società o
anche “indispensabile”. I cattolici democratici pensano che sia solo utile, ma
l’insegnamento di Benedetto XVI dice invece che è indispensabile, perché senza
Dio “i conti non tornano”. Da queste due posizioni discendono due linee di
lavoro per il bene comune molto diverse. I primi diranno che una cosa è la
coscienza e un’altra la legge e il credente non può imporre per legge agli
altri quanto gli dice la sua coscienza. Ne consegue che il bene comune è inteso
come compromesso, o come male minore. I secondi diranno che esiste una verità
della coscienza che io devo rispettare proprio per non ridurre il bene comune a
compromesso su elementi fondamentali per l’uomo, compromesso che trasformerebbe
il massimo bene comune nel minor male comune.   

Senza
la pretesa di essere – nonostante loro stessi – portatori di questa “salvezza”
i cristiani possono fare ben poco per il bene comune e lo stesso utilizzo della
Dottrina sociale della Chiesa trova piena e adeguata espressione dentro una
simile prospettiva, altrimenti essa è sempre in pericolo di trasformarsi in
semplice etica sociale.