I cattolici votano chi difende davvero i valori non negoziabili di Benedetto XVI

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I cattolici votano chi difende davvero i valori non negoziabili di Benedetto XVI

11 Aprile 2010

Agli albori del leghismo, paganeggiante e – a usare un eufemismo – poco aduso alla fedeltà di parte, ci saremmo imbattuti difficilmente negli omaggi di un conservatore di granito cattolico per le posizioni del Carroccio. Tantomeno per le scelte di biopolitica. Oggi, invece, appare quasi scontato che i credenti non progressisti si sentano più a loro agio in casa della Lega (e del Popolo della Libertà) piuttosto che nelle stanze anguste di partiti che osano, a dispetto dei doppi e tripli forni praticati, rivendicare ancora la primogenitura del voto cattolico. Non stupisce allora che un personaggio come Alfredo Mantovano apprezzi la coerenza dimostrata, tra campagna elettorale e post-voto, dai neo-governatori Cota e Zaia sul terreno della tutela dei principi non negoziabili. Se la vita va difesa dal concepimento alla conclusione naturale, in soldoni, l’adesione al Magistero non può conciliarsi con l’avallo sostanziale di certi cattolici “adulti” agli strumenti che mortificano e spengono la vita, dall’eutanasia diretta e indiretta, alle pastiglie abortive che isolano la donna e banalizzano l’interruzione di gravidanza.

Come Cota e Zaia che all’indomani della chiusura delle urne hanno annunciato di voler contrastare con ogni mezzo (lecito) la diffusione della Ru486 confermando la Lega su posizioni di difesa non ambigua dei principi non negoziabili, così Mantovano, domenica scorsa, ha voluto scuotere dalle colonne di “Libero” un PdL che in questo campo, talvolta, si trincera sbrigativamente dietro l’usbergo friabile della “libertà di coscienza”. Fosse questo, dal primo vagito, l’orientamento costante del partitone ci si rassegnerebbe a marciare in ordine sparso ogniqualvolta – vivaddio, con ciò dibattendo e anche scontrandosi per costruire l’identità di un PdL che qualche “futurista” vorrebbe ridotto a una modernissima ameba – si parli di famiglia, di vita, di libertà di educazione. Ma non sempre è stato così (non basta a dimostrarlo la levata di scudi di un presunto “anarchico dei valori” come il Cavaliere contro la condanna a morte di Eluana?) e non sempre – come superficialmente va cianciando qualcuno – si ha avuto prova dell’”inopportunità elettorale” del contrasto di aborto, eutanasia e pratiche di fatto eugenetiche. Due esempi su tutti: si ricorda come sono finiti i quattro referendum nel 2005 promossi dai detrattori della legge 40 sulla procreazione assistita? Affossati dal boicottaggio consapevole del 75% di italiani che hanno ritenuto di non far prevalere per via consultiva selezioni di laboratorio che poco hanno a che fare con l’accoglienza apriosticamente positiva della vita. Non una massa “poco critica” di bagnanti “a prescindere” ostili alle urne quindi, ma – come fu palese dalla quota irrisoria di votanti, appena il 25,9%, dato in controtendenza con le percentuali (ancora) robuste registrate nel Paese in occasione di ogni consultazione elettorale – un blocco di iscritti determinati a una foltissima maggioranza (più o meno) silenziosa. Un nucleo vasto di difensori di principi tradizionali che non intende affidare a una scheda, né ad altre vie, la demolizione dei cardini della vita.

 Altro esempio carico di significato che smentisce la tesi secondo la quale converrebbe svicolare da lotta all’aborto e affini sotto elezioni è il caso paradigmatico del già citato Cota. Per strappare il Piemonte a una campionessa di laicismo manifesto come Mercedes Bresso (sostenuta dall’Udc, in “coerenza” con il doppiofornismo a detta di Casini orientato dai programmi) , l’ex capogruppo della Lega alla Camera non si è limitato a sussurrare la sua opposizione a quanto a vario titolo minacciasse l’integrità dei principi non negoziabili. Cota non ha scelto di confinare la tutela della vita in un capitolo striminzito del programma (come pure fanno tanti politici, cattolici solo sul biglietto da visita), ma ne ha fatto un solido punto qualificante del suo impegno. E ha vinto, perfino stravinto, nella misura in cui  gli accreditati “titolari” del voto cattolico, i pretoriani di Casini in terra sabauda, rispetto alle elezioni europee del 2009 hanno dilapidato metà elettori (da 147.365 a 74.412). Senza trascurare che oltre a Luca Zaia si sono affermati con il medesimo tratto (a tinte più sfumate) la Polverini, Scopelliti e perfino Caldoro.

Ci sono elementi abbondanti, in definitiva, per sfidare i difensori della “libertà di coscienza” a priori sul terreno della chiarezza: non è inattaccabile la tesi per cui un grande contenitore “deve” essere terzo (ovvero scientemente insipido) rispetto a questione centrali come vita e morte; è evidentemente fallace la tesi secondo la quale è consigliabile dribblare i temi di biopolitica per non sbattere il muso contro le urne.

Rifletta Filippo Facci, crociato laicista anti-Mantovano, espressione di idee legittime ma lontane dal Verbo pidiellino, e piuttosto che dare credito ai sondaggi per tirare conclusioni definitive sulle convinzioni dell’elettorato berlusconiano e dell’universo mondo, magari consideri quei “macrosondaggi” assai più probanti rappresentati dai responsi elettorali. In cabina la decisione di apporre una croce su un simbolo si pondera molto più di una risposta distratta a un quesito telefonico.
Riflettano “futuristi” e giornali che, con scarso senso del pudore, mantengono la stessa testata dei tempi di Michelini e Almirante pur essendo diventati megafoni radicali. Rifletta, laicamente rifletta (opportuno specificarlo per non essere accusati di oltranzismo fanatico), chi scambia un partito che ambisce a non essere un cartello elettorale per una banderuola pronta ad andare sempre e soltanto a favore di vento.