I cristiani possono salvare l’Islam dalla morte culturale

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I cristiani possono salvare l’Islam dalla morte culturale

12 Settembre 2009

1. Tradizione è continuità, identità, rinnovamento

Tradizione (tradere) significa trasmettere un prezioso deposito, perché esso sia a sua volta ritrasmesso ad altri. La tradizione suppone quindi una continuità in vista dell’oggi. Essa non può essere un cammino all’indietro, ma cerca di ritrovare nelle sue proprie radici l’ispirazione per garantire la continuità. Rafforzare l’identità e rinnovare il presente: continuità, identità, rinnovamento.

Se la tradizione si identifica con il passato e cessa di ispirare il presente, allora essa muore. La si sacralizza perché essa non esiste più: è un modo di seppellirla, perché non la si comprende più.

Le nostre società arabe e musulmane si trovano spesso in questa situazione: non abbiamo più avvenire e nemmeno un presente. Non ci resta che il passato. Torniamo al passato per mitizzarlo e sacralizzarlo perché non abbiamo nient’altro.

In tal modo, in realtà noi rafforziamo la nostra morte culturale e spirituale. Nel mondo musulmano attuale, il concetto di tradizione suggerisce in pratica un ritorno agli usi del 7° secolo, che vengono sacralizzati. Ci si ferma agli aspetti esteriori: la barba, il velo o il niqab, il miswak (una specie di lungo stuzzicadenti, preso da una radice usata dal profeta dell’islam), la lunga tunica bianca, ecc…

Al contrario i cristiani (soprattutto nel mondo occidentale) tendono a rifiutare la tradizione. Alcuni pensano che per essere moderni bisogna dimenticare il passato, rifiutarlo. Il rischio è di perdere le proprie radici e l’autenticità: è il pericolo che io constato in Europa. Questa situazione può spingere alcuni a divenire tradizionalisti, a barricarsi su alcuni dettagli (per esempio il latino della messa, la veste, ecc…). Lo sviluppo degli adepti di mons. Lefebvre è parallelo allo sviluppo del rifiuto della tradizione.

La questione non è dunque solo propria al mondo musulmano, anche se oggi essa è più visibile e più vissuta nel mondo musulmano.

2. La paura della modernità che appare anti-religiosa

Una causa evidente di questo atteggiamento è anche la paura della modernità. È quanto si contata nel mondo arabo. La modernità di oggi proviene dall’occidente; nel 9° -11° secolo proveniva dal mondo musulmano.

Oggi l’occidente fa paura e repulsione a causa del suo allontanamento dalla religione e della diffusa secolarizzazione. Di colpo la modernità appare a molti musulmani come una nuova Jâhiliyyah (ignoranza, termine usato nel Corano per i miscredenti), che il Corano e il profeta dell’islam combattono con veemenza. La modernità è un neo-paganesimo.

Di conseguenza, molti musulmani si rifugiano nel passato e nella religione che ad essi appare come capace di offrire valori sicuri e durevoli e comportamenti sicuri. In questo modo a tutt’oggi si è sacralizzato il periodo dei primi quattro califfi (i successori di Maometto), che vengono definiti i “califfi ben guidati” (al-khulafâ’ al-râshidîn) : Abū Bakr il giusto (al-Siddîq) (632-634), ‘Umar Ibn al-Khattâb (634-644), ‘Uthman Ibn ‘Affân (644-656) e ‘Ali Ibn Abî Tâlib (656-661). Questo periodo (dal 632 al 661) è una specie di epoca paradisiaca.

Ciò rappresenta un grave pericolo perchè il paradiso, il modello da imitare e riprodurre, è allora dietro di noi, e non davanti a noi, verso il quale noi tendiamo.

Da notare che, eccetto il primo califfo, gli altri tre sono tutti morti assassinati. ‘Umar è morto assassinato il 4 novembre 644; ‘Uthman nel 656, ‘Ali nel gennaio 661 per mano dei Kharigiti.

Se vogliamo rinnovare l’islam, occorre accettare la sfida che il mondo moderno lancia a tutte le religioni: ebraismo, cristianesimo, islam e le altre. Il cristianesimo (soprattutto in occidente) deve affrontare ogni giorno questa situazione: se si ripiega sul passato, morirà. È lo stesso per l’islam. Più di frequente il mondo musulmano preferisce rinviare il problema a più tardi e questo rende solo più difficile la soluzione.

D’altra parte, non si tratta di adottare ogni novità senza discernimento, solo perché esse sono novità. Il discernimento si impone ed è la condizione per la sopravvivenza.

3. Conclusione

Si tratta di trovare un’armonia fra il passato e il futuro, le tradizioni (che possono ispirare, ma non incatenare) e la modernità (che non è necessariamente simbolo di libertà, né di liberazione).

L’islam ha cominciato a realizzare questa armonia e questo discernimento alla fine del 19° secolo e all’inizio del 20°. Esso si è rinnovato dall’interno confrontandosi con la civiltà e la cultura occidentali, facendosi aiutare in abbondanza dai cristiani arabi che avevano già iniziato questo movimento prima di loro.

Purtroppo, a metà del secolo scorso, questo movimento si è arrestato, trascinato dalle nuove ideologie (nazionalismo, socialismo, pan-arabismo) e ha cominciato a regredire.

Io penso che il cristianesimo, che ha affrontato questa situazione già da qualche secolo, potrebbe aiutare il mondo musulmano a compiere questo discernimento. Ad ogni modo, ciò non può essere fatto che dai musulmani, partendo dalla loro tradizione per criticarla e per trattenere il meglio.

Cristiani e musulmani (e gli altri credenti) siamo messi davanti a sfide comuni. Una collaborazione fra di noi, senza opposizione a nessuno, sarebbe di beneficio per chiunque.

La tradizione deve essere fonte di vita, altrimenti significa che essa è morta. Da qui viene la necessità della critica e del discernimento, per arrivare all’armonia e alla vera libertà.

© Asia News