I difensori della famiglia non hanno etichette

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I difensori della famiglia non hanno etichette

28 Marzo 2007

«Mi piacerebbe che il giorno del family day sfilasse uno striscione con su scritto “Cristiani, musulmani, ebrei per una laica difesa della famiglia”. Col nostro appello stiamo lavorando in questa direzione. Qualcosa si muove sul fronte laico. Nessun rigurgito Teocon, nessuna strumentalizzazione politica, i difensori della famiglia non hanno etichette. Qualcosa trapela dalle parole del senatore di Forza Italia su quello che è stato definito l’”Appello dei laici”: sarà assolutamente trasversale, sottoscritto dai rappresentanti di tutte le confessioni religiose, purché laici, appunto. Ma anche su questo Quagliariello ha qualcosa da ridire: “Vorrei dire basta con la contrapposizione tra laici e cattolici: ricordiamoci che il contrario di laico è clericale, e i laici possono essere quindi cattolici e non cattolici, musulmani, ebrei…”.

Ma la mobilitazione dei cattolici in questo caso è stata un po’ esclusiva…
La mobilitazione dei cattolici è giusta e di grande importanza ma sarebbe un grave errore se divenisse esclusiva. La difesa della famiglia è un interesse che affonda le sue radici nella laicità e non capisco perché la sottoscrizione del Manifesto delle associazioni cattoliche, che è laicissimo nel contenuto, non sia stata allargata a organizzazioni che cattoliche non sono. La famiglia, nel contesto che stiamo vivendo, può essere difesa per molte ragioni, tra cui quelle della fede, naturalmente. Ma vi è una consapevolezza tutta laica per cui difendere la famiglia è una necessità dettata dai tempi. Questa premessa avvia anche un’altra considerazione: che si debbano mobilitare per il family day non solo coloro che hanno avuto la fortuna di un nucleo familiare stabile, felice e privo di problematicità ma anche tutti coloro che,consapevoli che la famiglia è il luogo primo in cui si consumano le contraddizioni; è il luogo di rotture talvolta drammatiche; tante volte è anche il luogo dell’ipocrisia, nonostante tutto ciò continuano a credere che l’istituzione familiare resti una conquista per la dignità della persona umana e per l’educazione delle generazioni future. Due circostanze dovrebbero essere assolutamente evitate.

Quali?
Che si crei un’immagine della famiglia da “Mulino Bianco”, che rischia di essere esclusiva anziché inclusiva, e che si sviluppi una campagna moralistica: chi sceglie la famiglia sceglie anche di farsi carico di tutte le sue contraddizioni, maggiori o minori che siano a seconda dei casi concreti. Questo è il sale di quella responsabilità personale, che oggi s’intende mobilitare a sostegno della famiglia.

Ma come interpreta questo fermento politico che ormai ha investito tutto il mondo occidentale e che sembra avere come obiettivo principale la disgregazione della famiglia tradizionale?
È già accaduto nella storia che quando il bisogno di modernizzazione è stato spinto troppo oltre abbia provocato effetti opposti e contrari a quelli attesi da coloro che quei fenomeni avevano avviati. È accaduto in Urss, per esempio, a proposito dei piani di sviluppo e modernizzazione economica frutto di un’imposizione dall’alto e fondati su un assoluto costruttivismo. Con i risultati che tutti conosciamo. Ci sono analisti che hanno parlato a questo proposito di processo di contro-modernizzazione. L’esempio non è improprio se riferito alla società occidentale e al suo odierno rapportarsi con le dinamiche dell’ordine sociale.

Stiamo quindi nel pieno di un processo di contro-modernizzazione che ci porterà a fare passi indietro nella sfera dei diritti acquisiti della persona?
La famiglia nella società occidentale ha avuto un’evoluzione che è sempre andata nella direzione della tutela dei soggetti più deboli (i figli e il coniuge debole). Tutti gli istituti giuridici che riguardano il diritto di famiglia sono andati in questa direzione, basti pensare alla successione legittima o alla pensione di reversibilità. Sapete che cosa significa questa forma di tutela oggi, per tanti nuovi cittadini italiani che sono arrivati sul nostro territorio? Rappresenta una meta di integrazione. La politica non ha riflettuto abbastanza sul fatto che quel tipo di ordinamento rappresenta, ad esempio, per le donne musulmane una possibilità di emancipazione. Oggi la situazione delle donne musulmane e più in generale delle immigrate è terribilmente difficile. Subiscono livelli di dipendenza dai mariti assoluti, spesso accresciuti dal fatto che la loro permanenza in Italia dipende dallo stare nel permesso di soggiorno del marito. Vivono con l’incubo del ripudio. Souad Sbai, la presidente delle donne marocchine in Italia, ha lanciato l’allarme in più occasioni, sostenendo che la loro condizione nella normalità dei casi è peggiore di quella delle donne che vivono nei loro paesi d’origine. Se indeboliamo, se rendiamo irriconoscibile, o anche solo contraddiciamo quel punto di riferimento che è rappresentato dall’istituto della famiglia tradizionale; se avalliamo le campagne ispirate al relativismo culturale come sta accadendo in questi ultimi anni, rischiamo con il proposito di ampliare i diritti della persona di costruire le premesse per un fenomeno di contro modernizzazione, nelle cui  maglie si può benissimo inserire, ad esempio, il riconoscimento di fatto della poligamia.

Ma i Dico possono essere contratti esclusivamente da due persone proprio per ovviare a questo pericolo.
In questo caso non mi riferisco ai Dico ma ai Registri delle famiglie anagrafiche, come quello di Padova, che di fatto consente la pubblicizzazione di unioni molteplici. Crediamo davvero che le condizioni della donna siano migliori nei rapporti poligamici? Crediamo davvero che la possibilità di lasciare il proprio compagno di vita per SMS sia una conquista di libertà? Così come non credo sia un vantaggio dal punto di vista dei processi di civilizzazione porre le premesse per un contrasto tra figli legittimi e conviventi, come prevedono i Dico. Insomma, perché ci possa essere un progresso di libertà della persona è necessario farsi carico di mantenere una cornice di civiltà. Solo la cornice della nostra tradizione può contenere i progressi d’emancipazione. E nella cornice di cui parlo un posto fondamentale lo occupa la famiglia tradizionale. Lo aveva compreso un intellettuale di sinistra come Pierpaolo Pasolini che non a caso combatteva contro le discriminazioni omosessuali ma al contempo si batteva per la conservazione della società tradizionale. Pasolini sapeva, forse proprio per la squassante contraddizione della sua vita, che solo conservando il quadro di riferimento era possibile un avanzamento sull’altro terreno, quello delle libertà personali.
E allora c’è da chiedersi se, al cospetto dei Dico, e delle altre iniziative contro la famiglia tradizionale, ci si trovi di fronte a una effettiva esigenza sociale oppure alla ricerca tutta ideologica di relativizzare ciò che la tradizione occidentale rappresenta.

E lei cosa pensa? Siamo di fronte ad una società che è cambiata nella sua essenza o piuttosto è la politica che precorre un fenomeno che coinvolge solo una parte ristretta della società contemporanea?
La società è certamente cambiata ma la seconda opzione da lei indicata è autonoma da quei cambiamenti: non è un caso che la quasi la totalità dei problemi di libertà personale posti dai Dico siano già attualmente risolti o a livello di legge o a livello di giurisprudenza. C’è un libro, che sta per essere pubblicato da Rubbettino, scritto da Alfredo Mantovano e Giulia Bongiorno “La guerra dei Dico” che ricostruisce perfettamente questo aspetto. Peraltro, ciò che non rientra nel novero di ciò che non è già regolamentato o riconosciuto dalla legge o dalla giurisprudenza potrebbe essere risolto attraverso poche correzioni al codice civile.

Quali ?
La possibilità di visite in carcere del convivente; l’allargamento della “disponibile” nella successione che, in ogni caso, non dovrà penalizzare i diritti acquisiti dei figli; la pensione di reversibilità. Anche se qui il discorso è veramente solo strumentale. Il problema non esiste, non può esistere: non c’è ministro dell’Economia che accetterebbe di consentire la reversibilità della pensione ai conviventi. Già il sistema pensionistico è al collasso. Semmai andrebbe rivista la normativa nella direzione di una restrizione della portata  di questa ipotesi e non di un suo allargamento.

Lei non porrebbe dunque la questione centrodestra contro centrosinistra al centro del dibattito, come cercano di fare alcun esponenti dell’attuale governo?
Se è vero che la famiglia nella sua evoluzione giuridica è un prodotto della civiltà occidentale, il problema non può essere posto come destra contro sinistra. È assolutamente normale che al family day si ritrovi chi viene dalla tradizione della famiglia operaia, tanto per citare Lucia Annunziata e il suo intervento sulla Stampa di qualche giorno fa, e chi da quella borghese. La  frattura sociologica semmai è un’altra. La discussione di questi giorni implicitamente evidenzia che queste battaglie rischiano di essere elitarie, di salotto. La differenza fondamentale rispetto  alla stagione dei diritti civili degli anni Settanta e Ottanta, al di là dei contenuti, risulta chiara: sia il divorzio sia l’aborto hanno toccato un’emergenza sociale effettiva che coinvolgeva il vissuto della maggior parte del paese. Le battaglie per i diritti civili  di questa stagione rischiano di avere una dimensione elitaria, come il referendum che avrebbe voluto abrogare la legge 40 ha dimostrato. Anche rispetto alla famiglia le preoccupazioni della maggior parte degli italiani sono altre: c’è l’emergenza educativa, i problemi di una scuola che non e’ più in grado di svolgere il suo ruolo, le difficoltà dell’inserimento nel mondo del lavoro. Concentrare una battaglia sui diritti dei conviventi non solo distoglie la politica dal risolvere i veri problemi dei cittadini ma fa correre il rischio di dimenticare la condizione dei più deboli. Su questo tema oggi chi sono davvero i più deboli? Sono gli immigrati, in particolare le donne e i bambini per i quali l’approdo a una famiglia convenzionale rappresenterebbe una conquista di libertà. Forse la sinistra farebbe bene a considerare anche questo.

E come interpreta la posizione della Cei, chiaramente esposta nei giorni scorsi?
Il documento del Consiglio Permanente della Cei parla chiaro, come si confà a chi non vuole che gli insegnamenti del proprio Magistero vengano relativizzati e, per questo, se ne dissipi il valore. Fin qui nessuna sorpresa. Quel che colpisce è come questo documento riesca a parlare anche a chi non ha fede. In particolare per due ragioni: perché invita a considerare le conseguenze non desiderate che da un provvedimento pensato per ampliare la libertà e la dignità personale potrebbero derivare, contraddicendo gli intendimenti e le buone intenzioni di chi l’ha promosso. E poi perché sa indicare una strada per la tutela dei diritti di chi convive che non confligge con la famiglia che la tradizione ci ha consegnato: quella di agire nella sfera dei diritti individuali, anche attraverso modifiche del codice civile”. (c.v.)