I giovani di Benedetto

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I giovani di Benedetto

04 Settembre 2007

di Stefano Fontana

A Loreto il papa Benedetto XVI ha
tradotto in “giovanilese” il suo programma ed ha affidato ai 500 mila
dell’Agorà dei Giovani un compito preciso ed ambizioso. Il programma era stato
comunicato al convegno ecclesiale di Verona nell’ottobre dello scorso anno:
ricominciare dall’Italia. Il perché lo si è visto a Loreto: solo la Chiesa
italiana – oltre a Vasco Rossi – può radunare tanti giovani.

Quel mare di mani
alzate e di teste ondeggianti sulla spianata di Montorso sono la dimostrazione
del radicamento popolare della Chiesa italiana e della sua capacità, pur in
epoca di secolarizzazione selvaggia, di essere presenza sociale e di saper
radunare e mobilitare. Non so in Europa, a parte la Polonia e forse la Spagna,
quali altre Chiese abbiano questa capacità. Ricominciare dall’Italia.
Consapevole di questa capacità di fare i grandi numeri, espressione finale di
una ricchezza di vita quotidiana tra la gente, il Papa aveva indicato nell’Italia
la possibilità del giro di boa, l’occasione dell’inversione di tendenza verso
una rievangelizzazione dell’Europa. Ciò in un piano ancora più vasto: poiché
proprio in Europa si è sviluppato il relativismo nichilista che toglie respiro
alla fede e alla stessa ragione diventando una nuova religione universale,
dall’Europa e solo dall’Europa si può ricominciare e invertire la tendenza. I
giovani per un verso sono i più imbevuti di indifferenza religiosa, ma per
l’altro sono i più desiderosi di significato ed a loro il papa ha detto:
«Cristo può colmare le aspirazioni più intime del vostro cuore».

A Loreto il papa ha tradotto in
linguaggio giovanile questo proposito di ampio respiro. Ha invitato i giovani
cristiani a considerarsi «al centro» e non alla periferia del mondo, perché
«Per Dio siamo tutti al centro». Ha detto poi ai giovani di «cambiare il
mondo», perché «missione è cambiare il mondo». Li ha incoraggiato a «mettere
Cristo al centro del mondo» e a non aver paura di «sognare ad occhi aperti
grandi progetti di bene», a cominciare dall’amore vero e dalla famiglia, da
«rimettere al centro della società».

Al centro. Il cristianesimo non è
una scelta privata, non è un prodotto acquistato nel grande supermercato delle
religioni, il cristianesimo ha una pretesa. Il papa ha riproposto ai giovani la
fedeltà a questa pretesa: essere la religione vera e quindi l’unica che
contenga un messaggio di salvezza veramente a misura di persona umana. E’
proprio da questa pretesa che sgorga il ruolo pubblico del cristianesimo e la
missione di cambiare il mondo che il papa ha riproposto ai giovani, il rifiuto
dell’emarginazione laicista e relativista, il dovere di non rinunciare
all’incarnazione, che appartiene alla fede cristiana per essenza.

A Loreto il papa ha proposto ai
giovani un cristianesimo in controtendenza anche con certe modalità giovanili
di vivere la fede: non intimistico, non sentimentale, non letterario, poco
new-age. Non un generico “stare bene con se stessi, con gli altri e con il
mondo”, ma un cristianesimo che è storia, incarnazione, presenza, verità e
realtà. Un cristianesimo non annacquato in generico misticismo, ma una fede
fondata su un reale incontro con una presenza viva che cambia tutta la vita e
non solo alcuni suoi momenti.

Per questo ha anche riproposto
l’invito alla missione e il coraggio di andare controcorrente. Il cristianesimo
non può che essere missionario in quanto religione vera. Il sincretismo
religioso o una presunta convergenza sostanziale di tutte le religioni – spesso
elementi cari anche alle modalità giovanili di vivere tali esperienze –
configgono con la pretesa di radicale verità dell’annuncio cristiano e con la
sua diversità.

Come si vede nelle parole del
papa a Loreto ci sono tutti i temi del suo pontificato e del suo programma di
rievangelizzazione, che conosce molte strade, la principale delle quali è
senz’altro quella dei giovani. Ad essi Benedetto XVI ha ribadito una
convinzione centrale dei suoi insegnamenti: il 
mondo ha bisogno di Cristo perché nel mondo ci sono anche molti errori e
la sua cultura è spesso una cultura di morte e di disgregazione, come
testimoniata dalla crisi della famiglia. Il mondo non è solo da accompagnare da
parte di una Chiesa “minima” che comprende e non condanna, che solo ama e non indica
il bene, che vive solo di carità e non di verità. Il mondo è anche da
orientare. I giovani cristiani non vadano a rimorchio, mai entrino nella cabina
di regia.