I giudici chiedono più autonomia ma sono sempre più incapaci e parziali

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I giudici chiedono più autonomia ma sono sempre più incapaci e parziali

29 Aprile 2010

Il sindacato dei magistrati (Anm) rivendica continuamente la necessità che la categoria dei suoi assistiti sia “autonoma e indipendente”, come previsto dalla Costituzione. Dimentica sempre, ahimè, di citare l’altra prerogativa indicata dalla Carta, l’imparzialità. E neppure pare avere a cuore quella caratteristica così importante per qualunque categoria di lavoratori tranne che per i magistrati, la professionalità.
Imparzialità e professionalità non paiono esser le caratteristiche dominanti di alcune inchieste che ancora riempiono le pagine dei giornali in questi giorni.

Abbiamo rivisto  sbucare in televisione all’improvviso dopo due anni il viso di Ottaviano Del Turco, che fu presidente di quella giunta della Regione Abruzzo annientata nel 2008 da quel provvedimento della magistratura che vide lo stesso Del Turco in ceppi e il suo accusatore, il “reuccio” delle cliniche private Vincenzo Angelini, diventare una sorta di eroe nazionale. L’eroe raccontò all’Italia intera di aver portato al Presidente della regione fin dentro casa sua un sacchetto di mele ripieno di denaro e di essere tornato a mani vuote dopo che i soldi erano stati nascosti dallo stesso Del Turco in mezzo ai suoi libri.

Oggi Agelini è stato arrestato (non sbattuto in cella come l’uomo da lui accusato, ma ai domiciliari in villa) con l’accusa di aver distratto cento milioni di euro dalla sua azienda, mentre i suoi dipendenti sono da oltre un anno senza stipendio. E intanto le “prove schiaccianti” nei confronti di Del Turco sono ben lontane dall’esser state trovate, né un solo euro è stato rintracciato nei conti correnti dell’ex presidente. Il risultato finora raggiunto dai magistrati requirenti è stato solo politico: una nuova giunta di centrodestra ha infatti preso il posto di quella di centrosinistra. Sul piano giudiziario un totale fallimento: le prove non ci sono, c’era solo la parola di Angelini, novello “pentito” forse non disinteressato. Ma che figura ci fanno i magistrati? Incompetenti, pasticcioni o eccessivamente politicizzati?

Languisce ancora in carcere l’ex fondatore di Fastweb Silvio Scaglia, forse pentito di aver avuto tale fiducia nella magistratura da essersi addirittura consegnato alla guardia di finanza, quella notte del 26 febbraio all’aeroporto di Ciampino, proveniente dalle Antille. Era lontano dall’Italia per motivi di lavoro, quando fu informato del fatto che esisteva un ordine di custodia cautelare emesso nei suoi confronti. E’ tornato, ha spiegato  (benché l’avesse già fatto tre anni prima), ha sperato. Si, ha sperato, perché l’articolo 274 del codice di procedura penale parla chiaro e delimita a tre ipotesi la possibilità della custodia cautelare in carcere. Scaglia non scappa (anzi, porge i polsi alle manette ), Scaglia non ha più nessun ruolo in Fastweb, Scaglia non ha nessun interesse a inquinare le prove, fa dell’altro e non gli mancano due lire se deve pagare una multa per evasione fiscale.

E allora, perché è ancora in carcere dopo due mesi Silvio Scaglia? C’è imparzialità, c’è professionalità nel comportamento di chi spera di piegarlo e magari di trasformarlo in un “pentito”? Sorge il sospetto che l’imputato sia tenuto dentro nell’illusione di trovare quelle prove “schiaccianti” che magari non si hanno in tasca.

Un vero pasticcio di competenze territoriali si sta dipanando tra la magistratura di Perugia e quella di Roma, nell’inchiesta sulla gestione degli appalti per i grandi eventi. All’inizio era Firenze, ed era già pasticcio, perché la gran parte dei fatti si era verificata a Roma. Così sono stati emessi ordini di custodia cautelare da una magistratura incompetente. Poi da Roma l’inchiesta è stata trasferita a Perugia, quando fu coinvolto il Procuratore aggiunto di Roma Achille Toro, costretto alle dimissioni per una violazione della riservatezza, caso unico in un paese dove le carte delle inchieste vengono depositate direttamente in edicola un giorno si e l’altro pure. Il tribunale di Perugia è competente quando sia responsabile (  o vittima ) un magistrato romano. E siamo alla terza fase: le carte partono da Firenze, viaggiano verso Roma, planano a Perugia.

Oggi succede che il giudice delle indagini preliminari di Perugia respinga la richiesta di nuovi arresti proposta dal Pm, dicendo che la competenza è nuovamente di Roma. E gli esponenti della pubblica accusa usano il consueto frusto strumento, quello di contestare il reato associativo, cioè l’associazione per delinquere, il collante più truccato di tutti i trucchi procedurali possibili, per tenere insieme tutti gli imputati. E soprattutto per tenersi la competenza territoriale. Ma possibile che in due anni non ci si sia ancora messi d’accordo almeno su chi debba condurre le indagini?

Pasticciona, incasinata, troppo politicizzata, autoreferenziale, spocchiosa e spesso incapace. Questa è oggi la casta più potente del Paese. Il Presidente Giorgio Napolitano ha dato una salutare tiratina d’orecchi. Ma è sotto gli occhi di tutti il fatto che in qualunque azienda privata molti di questi campioni di professionalità sarebbero da tempo stati licenziati, per scarsa professionalità. E lasciamo perdere l’imparzialità. Tanto il sindacato di categoria è troppo impegnato a difendere l’autonomia e l’indipendenza. Parole ormai prive di significato. Tanto qualcuno di questi campioni è già in Parlamento. E altri seguiranno.