I Grandi si riuniscono ma continuano a procedere in ordine sparso

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I Grandi si riuniscono ma continuano a procedere in ordine sparso

02 Luglio 2010

Un’analisi di American interest centra il tema: il G20 è costato molto ma è servito a niente o quasi. Le principali economie restano bloccate dallo stallo europeo, che comincia a dare problemi alla stessa Cina. Stati Uniti e Russia trovano alcune convergenze nell’Asia centrale e Iran, ma i loro interessi e strategie restano divergenti per quanto riguarda i rapporti con l’Unione Europea. Il G20 quindi ha fornito solo un’occasione per scattare fotografie di gruppo, senza che il gruppo ci fosse. I semafori geopolitici restano rossi, in attesa che la Spagna faccia o meno la fine della Grecia.

American Interest ricorda che secondo un sondaggio il 51 percento dei tedeschi vuole farla finita con l’euro e tornare al marco tedesco, visto che ai miliardi spesi per sostenere l’economia dell’euro-area non corrispondono vantaggi evidenti. Intanto l’alleanza renana (Belgio, Francia e Germania), fulcro di tutto il progetto UE, vede crescenti divergenze tra Parigi e Berlino, più interessata alle aree dell’est, alla Russia e al crescente potere della Turchia.

La crisi europea blocca anche gli Usa. La presidenza Obama aveva pianificato un raddoppio dell’export americano, buona parte del quale va proprio in Europa. Ora quell’obiettivo appare irrealizzabile.

Eurussia come nuova Eurabia
In questo quadro, cresce l’influenza della Russia, l’attore internazionale che ha preso il posto del paesi arabi e dei loro fondi sovrani. Il loro interesse per l’Europa ha alcuni punti di contatto con il piano denunciato da Bat Ye’Or col nome di Eurabia. E in effetti la Russia – come gli arabi – ha il paradosso di essere un’economia relativamente florida senza avere un sistema industriale, e Medvedev propone di investire la valuta ottenuta con la rendita degli idrocarburi per creare industrie e aziende moderne.

Intanto Mosca ha proposto di ospitare il summit del 2013 (in concorrenza con la Turchia).

Globalizzazione per sempre?
 La Cina è arrivata al summit di Toronto imponendo un altro alt fermi tutti, dovuto alla fluttuazione del cambio dello yuan. La Cina è primo produttore mondiale (22%), mentre la globalizzazione ha prodotto una rivoluzione geopolitica, con la crescita impetuosa delle aree dell’ormai ex Terzo mondo. La triangolazione Fiat-Pomigliano-Polonia dimostra ciò che scriveva Zygmunt Bauman nel 1998 in Globalization, the human consequences (Oxford-Cambridge e Bari), citando Albert J. Dunlap, il famoso "tagliatore di teste" o "razionalizzatore" dell’impresa moderna:
"L’impresa appartiene alle persone che investono in essa, non ai dipendenti, ai fornitori, e neanche al luogo dove essa è situata". Aggiungo: non appartiene nemmeno ai politici, nonostante il fantasma di Keynes abbia dato falsi alibi al mercatismo di Stato.
Bauman aggiunge che anche le decisioni "hanno preso a distaccarsi, in forma continua e inesorabile, dai vincoli imposti dai processi di globalizzazione". Il deprezzamento del dollaro nei confronti dello yuan permette agli Stati Uniti di migliorare l’enorme deficit import-export, mentre l’Europa si trova già alle prese con un inverno nel quale il gas e il petrolio diventeranno di nuovo cari, condizionando le economie e la politica (dovremo cedere qualcosa ai russi, oltre a un enorme flusso di valuta?).

Poi c’è il contenzioso sul sistema bancario, dove ognuno procede per conto proprio. Gli Usa hanno scelto di tassare le banche con asset oltre i 50 mld di $. In Europa, scrive Oscar Giannino:
"Germania e Francia vogliono una tassa sulle banche innanzitutto per guadagnare popolarità di fronte ai rispettivi elettorati, alla luce del molto denaro pubblico speso in salvataggi bancari senza che al momento vi sia prospettiva di un guadagno statale, con la ripresa dei corsi, come in USA. L’Italia sta invece con l’intero blocco dei Paesi emergenti: chi non ha dovuto salvare banche coi denari pubblici è molto più interessato a rafforzare gradualmente il capitale degli istituti di credito, non a tassarli mettendosi a rischio di ulteriori strette degli impieghi e di traslazione a famiglie e imprese del costo aggiuntivo".
Poi c’è l’eterno contenzioso tra il sistema tedesco (rigorista, e non si pensi al calcio) e quello americano (neokeynesiano).

Sintesi dei problemi
Ria Novosti ricorda impietosamente di cosa si trattava a Toronto:
a) il debito pubblico nei paesi occidentali, oltre il limite di guardia;
b) la contraddizione tra la necessità di alzare le tasse (il che massacra l’economia) e la opportunità di tagliarle (il che salva le economie ma affonda le finanze statali e bancarie);
c) il programma di tagli del welfare;
d) l’invecchiamento della popolazione.

Ria Novosti ricorda anche l’entità del debito delle economie principali:
Russia’s debt-to-GDP ratio is currently 71%, according to the McKinsey Global Institute (MGI). The word’s biggest debtors are Japan (471%), Britain (466%), Spain (366%), France (322%) and Germany (286%). The foreign debt of the United States is 296% of GDP, China’s is 158% and India’s is 129%.This translates into hundreds of billions of dollars.

When a country’s debt exceeds GDP several times over, this means it is borrowing much more than it takes in. The figures cited by MGI are stunning but by no means record-setting; they are still manageable. The countries in serious trouble are Iceland (1200%) and Ireland (700%).

Norway, Finland, Sweden and Denmark are the exceptions. Norway’s GDP actually exceeds its foreign debt by 156%, Finland’s by 57% and Sweden’s by nearly 20%, even though they have tons of social programs and a generous safety net that Americans can only dream of. In these countries, government spending actually benefits the economy. This is a testament to Scandinavian socialism.

L’Italia, come si vede, non è citata dall’agenzia russa. Forse perché abbiamo solidi interessi in comune con Mosca (South Stream e non solo).

La strategia migliore, in questa fase, è andare nelle aree in crescita per fare accordi di mercato. In questo campo i governi possono molto, possono per esempio limitare il loro interventismo e dare spazio al mercato. In questo senso il viaggio di Stato del nostro premier in Brasile è stato decisamente più produttivo di quello compiuto a Toronto per il G20.