I guardiani del destino, un film in cui (per fortuna) non tutto è perfetto

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

I guardiani del destino, un film in cui (per fortuna) non tutto è perfetto

19 Giugno 2011

Come dovrebbe essere l’ideale presidente degli Stati Uniti? “I guardiani del destino” di George Nolfi (da un sobborgo di Chicago passato prima a Princeton, poi a Oxford, infine all’UCLA di Los Angeles, tra filosofia e scienze politiche, per finire come sceneggiatore di “Ocean’s Twelve” e “The Bourne Ultimatum – Il ritorno dello sciacallo”) ce ne fornisce un ritratto sin troppo preciso.

David Norris (Matt Damon) è il «prescelto» (naturalmente democratico). Giovanissimo talento nato a Brooklyn, ha bruciato ogni tappa in politica. Prima deputato. Ora corre per lo scranno di senatore della sua città, New York. Bello, simpatico, fresco, oratore insuperabile. Sta stracciando l’avversario. Invita i giovani, nel corso di un festoso comizio, a prenderlo a calci nel sedere. Poi, d’un tratto, uno scandalo giornalistico lo mette al tappeto. David è cresciuto in un quartiere dove le mani si usano con disinvoltura. E poi nella vita del ragazzo fortunato c’è un buco nero che gli limita il controllo della rabbia. A compromettere la vittoria a valanga di David è una sua foto goliardica: studente, mentre mostrava il sedere all’obiettivo. L’onda si rovescia e lo sommerge. Il giudizio popolare riporta indietro l’ascensore. Non sarà il senatore di New York. Una consolazione nella notte della sconfitta elettorale gli arriva dal caso: l’incontro con una splendida ragazza, Elise (Emily Blunt). Un bacio furtivo e appassionato schiude a David le porte dell’amore totale. Sin dal discorso di ringraziamento da “perdente” si nota il cambiamento. Dimentica il testo scritto dai consulenti e tira fuori quanto sente davvero.

Allora “I guardiani del destino” è una storia d’amore? Neppure per sogno. Il bello comincia proprio adesso. Riadattato abbastanza liberamente dalla storia partorita da una delle menti più feconde della fantascienza contemporanea, Philip K. Dick (il racconto secco, elegante e filosofico “The Adjustment Bureau”), “I guardiani del destino” schiude le porte di un mondo parallelo. Anche Arthur C. Clarke aveva espresso (in “La sentinella” e successivamente nel più compiuto “2001: Odissea nello spazio”, film e soprattutto romanzo) l’idea di un’entità superiore e benevola, dotata di poteri superiori, che si prende cura di governare le attività degli umani sul pianeta Terra. Quindi quando la carriera politica (dal Senato alla Casa Bianca il passo per David era scontato) si inceppa e la passione amorosa si mette in moto, intervengono i “guardiani”. Gli uomini fino al Novecento se la sono cavata abbastanza bene. Poi è stato il diluvio, dalla prima guerra mondiale alla crisi missilistica di Cuba. In quel frangente si è rischiata la catastrofe nucleare. Meno male che i “guardiani” ci hanno messo una pezza. E hanno lavorato con metodo, intervenendo quando le cose si mettono male. Affinché tutto fili liscio c’è bisogno del “grande piano”, messo a puntino dal “grande architetto”, esistente ma invisibile. Un piano perfetto.

Ma la perfezione in fatto di cose umane è sempre legata all’imprevedibilità del caso. E allora in caso di problemi, ecco apparire la squadra dei “guardiani” (appartenenti all’ufficio degli “aggiustatori”, come ricorda il titolo originale), “Men in Black” in abito “vintage” (somigliano ai poliziotti federali al servizio di Hoover per combattere il “nemico pubblico” Dillinger, o alla squadra anticrimine messa in piedi da Kevin Costner in “Gli intoccabile” per abbattere Al Capone). La storia d’amore tra David ed Elise (ballerina assai promettente) non era prevista. Quindi il “piano” adesso ha un buco che i “guardiani” dovranno rattoppare. Non hanno però fatto i conti con il “libero arbitrio”. E già, David si ribella al destino che altri hanno preordinato per lui (la successiva scalata alla Casa Bianca, priva però dell’amore). Parte dunque una sfida mozzafiato (poiché giocata sulla corsa contro il tempo), costruita come un videogioco, pieno di porte che si aprono improvvisamente sugli angoli più splendidi di New York.

“I guardiani del destino” si regge per la totalità del racconto (due ore) sul corpo ora fisso ora scattante di Matt Damon. Un attore bravissimo. Quando il film corre è un susseguirsi di emozioni. Ma troppo spesso “I guardiani del destino” si affloscia. E questa è la linea di demarcazione tra un qualsiasi prodotto della fantascienza, finanche colta, e un’opera capace di rompere le barrire del genere, come “Matrix” o “Inception”. Negli scritti di Dick si nasconde un pessimismo gnostico che in “I guardiani del destino” viene falsificato in una delle tante allegorie del “politicamente corrette” imperante nella culturale audiovisiva americana. Il “grande architetto” è disposto ad accettare un suggerimento proveniente dai “guardiani”: modifichiamo il piano, e affidiamo il potere a un politico democratico, che crede nelle fonti rinnovabili di energia e che per amore è disposto a sacrificare tutto.