I have a dream: un Dpef per l’Italia

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I have a dream: un Dpef per l’Italia

25 Giugno 2007

Il Documento di Programmazione Economico Finanziaria che
il Consiglio dei Ministri di mercoledì 28 Giugno si prepara a varare assume
un’importanza esiziale. Tenendo conto della positiva congiuntura internazionale
e della disponibilità di extra gettito, il Governo ha la possibilità di
delineare una serie di misure per la crescita e lo sviluppo, fondamentali e
improrogabili per l’economia del nostro Paese.

Certo, la canea per la spartizione del tesoretto, la
paradossale e antistorica, ma ahimé, probabile abolizione dello scalone,
l’arrogante prevaricazione della sinistra radicale sulle scelte di governo e
l’ormai sonnolenta rassegnazione dei riformisti (chi li ha visti?) dell’attuale
maggioranza, rendono quantomeno possibile che il prossimo DPEF si allontani
significatimente dagli interessi veri dell’Italia.

 

Ma dimentichiamo per un’attimo queste tragiche premesse e
proviamo a ipotizzare alcune chiare e concrete proposte per il rilancio del
Paese.

 

La prima riguarda i metodo. Per una volta, solo per una
volta, si abbia il coraggio di varare un provvedimento senza concertarlo,
pensando solo alle necessità vere dell’Italia e ai suoi problemi. La
concertazione è ormai diventata una pantomima ridicola che vede sempre le
stesse controparti, difendere sempre gli stessi interessi particolari, ottenere
sempre nuove rendite con la minaccia di scioperi, utilizzando un potere di veto
che nessuno ha concesso. Chi governa deve sì saper ascoltare, comprendere i
bisogni dei cittadini, ma deve essere soprattutto capace di prendersi la
responsabilità di farne la sintesi all’interno di una visione unitaria e
chiara. E’ ora di smetterla di concertare con gli amici e “decretare” per i
nemici.

 

Prima proposta di merito, è di facile attuazione. Non
toccare lo scalone: lo dobbiamo a noi stessi e ai nostri figli. Un Paese nel
quale si inizia a lavorare a trent’anni e si vuole andare in pensione a
cinquantasette, é tragicamente fuori dalle dinamiche globali e dimostra di
lasciarsi condurre da quei geni che presentano le pensioni con 14 anni 6 mesi e
1 giorno, come una conquista di civiltà. Perché invece non prevedere uno
scalino agguntivo nel 2009 e con le risorse ricavate riformare un Welfare
obsoleto e retrogrado. Oggi solo circa un quinto dei lavoratori licenziati gode
di una qualche forma di tutela: si introduca, a posto della giungla inutile
degli attuali ammortizzatori, un ammortizzatore unico di un anno (quindi con un
enorme estensione della attuale rete di welfare), nel quale il lavoratore che
ha perso il posto, abbia la possibilità di ri-formarsi, mentre percepisce un
sussidio: in sintesi un trampolino non un’amaca su cui adagiarsi.
L’innalzamento dell’età pensionabile di un anno lo finanziarebbe ampiamente: è
meglio capace di tutelare i deboli chi difende la pensione a 57 anni, o chi
alzando l’età pensionabile, crea un vero sistema di ammortizzatori sociali?
Perché inoltre non parificare l’età pensionabile tra uomini e donne? Le donne
vivono mediamente di più e siamo sicuri, tutte preferirebbero avere le risorse
ricavate da un provvedimento del genere a loro disposizione quando da
lavoratrici hanno un figlio oppure da casalinghe si prendono cura di anziani
non autosufficienti.

 

Seconda proposta. Detassare il lavoro straordinario ed
incentivare la produttività. Bisogna avere il coraggio di dire che il grande
patto di politica dei redditi firmato da governo e sindacati nel 1993 ha fatto
il suo tempo. In quel momento l’effetto fu più che positivo, per mettere sotto
controllo l’inflazione dei salari, all’indomani della svalutazione della lira.

Con l’euro le cosa sono definitivamente cambiate (al meno
per quanto riguarda le svalutazioni monetarie) ed il patto si riduce ora ad una
meccanismo che frena la crescita dei salari bassi rispetto a tutti gli altri
redditi, con evidenti impatti sulla domanda, ma ancor di più sulla
produttività.

E’ ora che il salario di produttività venga negoziato
nelle aziende e nei territori, con l’inevitabile doppio  vantaggio di avere più retribuzione nelle
tasche dei lavoratori e miglior utilizzazione dei fattori produttivi per le
aziende. Inoltre ciò permetterebbe di incentivare i lavoratori ad offrire più
lavoro e le imprese ad occupare manodopera aggiuntiva o ad accrescerne l’orario
marginale, in cambio di incentivi; un circolo virtuoso di incredibile
potenzialità.

 

Il mondo del lavoro. Abolire la parola precarietà. Il
problema infatti è favorire l’entrata nel mondo del lavoro, non disperdere
risorse affinchè un lavoro diventi sicuro, la sicurezza sta nel merito e nella
capacità del singolo lavoratore, non si ottiene per decreto. Bisogna quindi
favorire i dispositivi tipici che stimolano nuovi ingressi, il contratto di
primo impiego (si proprio quello che ha creato tanto scandalo in Francia
qualche mese fa), l’apprendistato e i tirocini formativi. Chiedetelo a un
giovane neolaureato se preferisce un lavoro e un’esperienza non garantita,
nella quale tutto dipende dalle sue capacità, oppure desidera un posto a tempo indeterminato
forse fra 5 o 10i anni, magari grazie a una raccomandazione.

 

Il sistema fiscale e la spesa pubblica. Bisogna innestare
il circolo virtuoso, l’abbasamento delle tasse per i lavoratori e per le
aziende, finanziato dalla riduzione della spesa pubblica, in attesa che una
riduzione della pressione fiscale porti a un incremento delle entrate in
consequenza della riduzione dell’evasione. Le tasse le pagano tutti quando sono
eque, non è una speranza, è una dinamica macro-economica comprovata in ogni
paese che ha attuato una consistente riduzione delle tasse. Abbassare le tasse
quindi, ma non con un maquillage da zerovirgola, è necessario portare la media
almeno appena al di sotto del 40%; per fare ciò è sufficiente un taglio della
spesa pubblica di qualche punto percentuale, ottenibile con una gestione
efficiente della cosa pubblica, immetendo una goccia di meritocrazia tra gli
statali e smettendola di accarezzare i fannulloni. Sarkozy ci dà un
suggerimento, ogni due dipendenti pubblici che vanno in pensione, solo uno
viene rimpiazzato. In sintesi finanziare l’abbassamento delle tasse eliminando
gli sprechi. Non sembra un’impresa titanica per una classe dirigente
coraggiosa, forte e responsabile.

 

Infine l’eliminazione di almeno il 50% degli adempimenti
burocratici per le aziende e per i cittadini. La burocrazia è una giungla
frustrante e costosa: 10 milioni di ore uomo all’anno è il costo della
burocrazia in Italia per le aziende. Tempi lunghi, più di ogni altro Paese
industrializzato, mai autocertificazioni e con il patema sempre di avere
dimenticato qualcosa e di vedere la propria attività sospesa o pesantemente
ridimensionata. Lasciamo a chi sa e vuole lavorare la possibilità di farlo…..

…..  all’improvviso
si sentono da lontano delle voci, Pecoraro Scanio propone l’innalzamento degli
assegni famigliari per i genitori che convincono i figli a lavarsi una sola
volta alla settimana, Ferrero sostiene la necessità di un bonus di entrata per
tutti gli extracomunitari autosponsorizzati, Bianchi propone un ritocco degli
stipendi delle hostess Alitalia e i sindacati uniti l’abbasamento dell’età
pensionabile a 55 anni. 

Mi sono risvegliato dal sogno. Prendo il telefono, chiamo
il mio commercialista e chiedo se la mia denuncia redditi è pronta. Mi consolo
dicendomi che dal 15 luglio comincerò a lavorare per me e per la mia famiglia.

(N.B. Il titolo non è altro che un disperato tentativo di
ingraziarsi il futuro Segretario del Partito Democratico)