I numeri svelano l’ipocrisia di Zap sui clandestini

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I numeri svelano l’ipocrisia di Zap sui clandestini

19 Maggio 2008

“La sicurezza del Paese e dei cittadini viene prima di ogni altra cosa”. “Se siamo troppo lassisti con l’immigrazione illegale verrà una valanga che non riusciremo a fermare più”. “Quando arrivano emigranti illegali ci sono solo due opzioni possibili: o li lasciamo entrare, o li rimpatriamo. La nostra opzione è per rimpatriarli”. Non l’hanno detto né Bossi, né Fini, né Maroni, né Berlusconi, né Alemanno, né Gentilini. La frase numero due e numero tre sono di Alfredo Pérez Rubalcaba: ministro dell’Interno del governo spagnolo di José Luis Rodríguez Zapatero. E la frase numero uno è dello stesso Zapatero. Sì: quello stesso Zapatero che appena ha vinto le elezioni ha subito ritirato il contingente dall’Iraq. A cui Sabina Guzzanti ha dedicato lo spettacolo “Viva Zapatero!”. E la cui vice María Teresa Fernández de la Vega è finita nell’occhio del ciclone per quelle che erano sembrate durissime critiche alla del nuovo governo italiano: un “incidente” che lo stesso Zapatero ha preferito chiudere subito. E se si hanno presenti certi precedenti, si capisce fin troppo bene perché.

Zapatero, è vero, ha proceduto a una serie di regolarizzazioni massicce: l’ultima, nel 2005, relativa a ben 700.000 persone. E ciò spiega il perché la popolazione immigrata ufficiale sia passata da 1.6 milioni a 3.7, l’8.5% della popolazione, nei soli tre anni dal 2003 al 2006. È pure vero che dal primo maggio 2006 la Spagna ha aperto le porte ai lavoratori dell’Est europeo dei nuovi Paesi Ue, in anticipo sul resto dei soci. Ma bisogna tener conto che la Spagna in quell’epoca aveva i tassi di disoccupazione ai minimi da un quarto di secolo: l’8.7%, con grandi aree come Madrid, Catalogna e Isole Baleari quasi attorno allo zero. La regolarizzazione di chi già c’era, dunque, è stata previa all’apertura a Est, che entro qualche anno avrebbe dovuto ugualmente esserci, apposta per evitare un “effetto chiamata” dovuto alla percezione di una domanda d’impiego maggiore della realtà. E anche l’apertura a Est è servita come deterrente a nuove ondate di clandestini dall’Africa. Ma per chi non si fa “detenere”, il governo Zapatero ha agito con efficienza e spietatezza prussiane: o meglio, da Santa Inquisizione, visto che di Spagna stiamo parlando. A partire dalle telecamere ultrasensibili installate per migliorare i sistemi rilevamento dei clandestini nel sud del Paese e nelle Canarie, e dall’aumento dell’altezza delle sbarre alla frontiera di Melilla.

La stessa Melilla, enclave spagnola sulla costa marocchina, al momento in cui Zapatero è arrivato alla testa del Paese era protetta da una doppia barriera difensiva in acciaio e filo spinato di 10.95 chilometri di perimetro per sei metri di altezza, che la circondava completamente. Quando i clandestini hanno iniziato a passarla con rudimentali scale fatte di pali e gomme di bicicletta prima la polizia ha sparato, poi è stata iniziata la costruzione di una terza barriera, senza che Zapatero si preoccupasse delle accuse di “militarista” che gli venivano dalla Izquierda Unida. Nel contempo, lo stesso governo Zapatero ha pure condizionato ingenti aiuti economici al Marocco all’effettività con cui la polizia marocchina ha agito contro i clandestini accampati dall’altra parte del confine in attesa di provare l’assalto alle frontiere di Melilla e anche dell’altra enclave di Ceuta. Dal 23 al 25 dicembre 2006, ad esempio, centinaia di migranti sono stati deportati da Rabat, fatti salire su autobus e condotti a forza alla frontiera algerina.

E quando il lavoro sporco del rimpatrio forzato non può più essere demandato all’operato preventivo dei marocchini, il governo Zapatero ha previsto caschi speciali e camicie di forza.  Lo ha stabilito la bozza di un protocollo preparato dal ministero dell’Interno il 3 settembre 2007, che sottolineava la necessità di garantire “un trasferimento degno e sicuro” per i clandestini, mentre cresceva il numero delle espulsioni: oltre 8500 nei primi nove mesi del 2007 in voli charter o commerciali. C’era stato il precedente di un nigeriano che oppose resistenza al rimpatrio forzato e morì sbattendo volontariamente la testa contro l’aereo, dopo essere era stato ammanettato e imbavagliato. Dunque, in base alle nuove direttive del ministero dell’Interno prima di salire a bordo di un aereo i clandestini devono anzitutto essere accompagnati da un certificato medico per attestare le loro condizioni di salute, che potranno nei casi limiti spingere la polizia a sospendere il rimpatrio. Gli immigranti saranno poi imbarcati con le mani legate e dovranno rimanere seduti con la cintura di sicurezza per tutto il viaggio: salvo per recarsi al bagno, scortati. Nel caso diventassero violenti una volta sull’aereo, “potranno essere immobilizzati con mezzi che non pongano in pericolo la loro integrità fisica né compromettano le loro funzioni vitali” utilizzando una forza “proporzionata” e rispettando “l’onore e la dignità” del soggetto. E i “mezzi” utilizzati potranno essere “caschi di auto-protezione per impedire che si facciano del male da soli”, e “cinturoni e indumenti immobilizzanti autorizzati” per tenere le braccia e le mani bloccate lungo il corpo.

D’altra parte, nel momento stesso in cui Zapatero si insediava, non solo disponeva il ritiro dall’Iraq: provvedeva anche a un drastico giro di vita sull’Islam spagnolo. Già dal 1992, per la verità, era stato firmato un accordo di cooperazione tra lo Stato spagnolo e la Commissione Islamica, cui nel 1996 si era aggiunto un convegno sull’Educazione che prevedeva l’insegnamento della religione islamica a scuola. E subito il nuovo ministro della Giustizia Juan Ferando López Aguilar aveva annunciato che questo insegnamento avrebbe ricevuto fondi statali, da cui le immaginabili polemiche. Ma Mercedes Rico, la responsabile della Direzione Generale degli Affari Religiosi, aveva subito chiarito che il fine di queste misure avrebbe dovuto essere appunto quello di mettere i predicatori islamici sotto controllo. “A noi quello che interessa è che il finanziamento sia sufficiente perché la Commissione possa contrattare gli imam, includerli nella Sicurezza Sociale e far avere loro una nomina ufficiale. Ciò farebbe sì che tutto il sistema sarebbe molto più trasparente. Questo finanziamento si appoggerebbe nel principio costituzionale della non discriminazione, posto in relazione alla Chiesa Cattolica, finanziata per assegnazione tributaria (casella dello 0.5%) (n.d.r.: simile all’8 per 1000 italiano) più una dotazione di bilancio diretta”. “Se l’imam è una persona importante che dirige la preghiera della comunità, è registrato presso il Ministero della Giustizia ed è riconosciuto dai fedeli, allora avrà la Sicurezza Sociale come la hanno circa 1000 pastori protestanti. La loro federazione li contratta e sono integrati nella Sicurezza Sociale, con una stabilità e una trasparenza rispetto alle responsabilità. Di qui si può esigere una coerenza nei contenuti”.

Nel momento in cui la Rico parlava nel settore regnava infatti il caos più assoluto, con 233 moschee registrate e almeno 200 clandestine. “In questo momento non sappiamo quanti imam ci sono e neanche il loro grado di formazione. Alcuni sono fai-da-te, perché per la direzione della preghiera non devono neanche avere un livello di studi speciale. Però converrebbe mettere ordine”.  E una delle principali maniere per mettere ordine è che le prediche vengano fatte nella lingua nazionale. “Ci piacerebbe che tutti i sermoni si facciano in spagnolo perché siamo in Spagna e che lo moschee siano luoghi di integrazione e non di separazione”. Dunque il finanziamento e il riconoscimento sono destinati solo a imam formati in corsi da cui si apprenda non solo il Corano ma anche, e soprattutto, lo spagnolo.
Alla fine, dunque, il governo Zapatero ha rispedito a casa 800.000 clandestini, e chiuso tra le 600 e le 800 moschee. Ma questa politica non è stata senza qualche contraccolpo, in particolare col Brasile. Nel marzo del 2007, infatti, sono stati all’improvviso resi più duri i termini per l’ingresso di brasiliani in Spagna: in particolare, mentre prima bastava una lettera d’invito di un residente in Spagna compilata di fronte a un notaio, è diventata necessaria una compilazione presso la polizia, dopo aver riempito un questionario. Così, un numero crescente di cittadini brasiliani ha iniziato a essere bloccato in aeroporto e rispedito indietro: dai 17 dell’agosto del 2007 ai 452 del febbraio 2008. Ma a quel punto anche le autorità brasiliane hanno iniziato a fare lo stesso coi turisti spagnoli, fino a quando il governo di Madrid non è stato costretto a venire a un abboccamento. A inizio aprile due sottosegretari hanno infatti posto ufficialmente fine alla “guerra delle deportazioni”. Almeno per ora…