I pini della Tasmania: rari e protetti come opere d’arte
16 Marzo 2008
di Mario Rimini
L”australiano più vecchio ancora in vita era un anziano signore quando Matusalemme nacque. Vive tra gole inaccessibili nell’Ovest della Tasmania, in valli remote dove ogni lago è erede del’ultima glaciazione e ogni pianta racconta la storia del Gonwdwana, il supercontinente che qui, più che in qualunque altro angolo della terra, respira ancora. Pare che abbia, l’australiano più longevo, fino a 10.000 anni. La scienza lo chiama Huon Pine. E lui, questo albero antico e raro, da queste parti è una leggenda.
Nell’Ovest della Tasmania, la storia l’hanno fatta tre tipi di uomini. I condannati inglesi, imprigionati nel piu’ terribile dei lager penali della Corona, Saraha Island, piccolo isolotto all’interno di Macquarie Harbour, la seconda baia naturale più grande dell’emisfero sud – 26 volte, dicono, la baia di Sydney – dove le nuvole sono cariche di acqua e di silenzio e il profilo dei monti assomiglia, da lontano, ai miraggi del deserto. Allora, la Tasmania era chiamata Terra di Van Diemens, e la sua reputazione così fosca che il braccio di mare racchiuso tra il faro e la costa, ingresso a Macquarie Harbour, per i detenuti e per la storia era Hell’s Gate – la porta dell’inferno. L’altra categoria di padri fondatori di questa regione furono i minatori. Le viscere antiche delle montagne contengono una cornucopia di minerali, e le miniere hanno regnato supeme, per oltre un secolo, sulla vita di ogni villaggio e cittadina della tasmania occidentale.
E poi c’erano i tagliaboschi. La loro storia è stata raccontata tante volte, qui come altrove – ovunque uomini intrepidi abbiano sfidato una natura ostile per trovare una fonte di guadagno e propserare. Solo che qui, nell’Ovest della Tasmania, la storia dell’industria forestale è legata indissolubilmente a lui, il più prezioso degli alberi, il più longevo, il più raro: l’Huon Pine. Il suo legno ha i toni del miele, ed è impregnato di un olio dal profumo intenso e inconfondibile, e dalle proprietà straordinarie. Grazie a quest’olio, il legno è immune da malattie e decadimento. L’olio è anche impermeabile, e l’Huon Pine è stato, per decenni, il miglior legno per la costruzione di imbarcazioni di ogni tipo. I piners – come qui chiamano i taglialegna che frugavano ogni valle per trovare questo albero prodigioso – sono oggi soltanto una leggenda. Ma rimangono, come eredi di questo epico passato, tre luoghi in cui si rinnova ogni giorno, ancora oggi, l’epopea dei cercaori di Huon Pine. Sono le segherie che hanno ancora il permesso di lavorarne il legno.
La piu’ importante si trova a Queenstown, capitale della Tasmania occidentale. Appartiene ai Bradshaw, oggi come sempre. La famiglia dei Bradshaw viene da quella storia, dalla saga dei piners. Oggi, il business e’ molto cambiato. Divenuto rarissimo, il pino è ormai protetto, e il taglio di alberi è vietato quasi ovunque. La segheria dei Bradhsaw sopravvive grazie al recupero di tronchi tagliati ai tempi in cui la pianta abbondava, e poi lasciati sul fondo della foresta, perché soltanto i tronchi piu’ massicci venivano portati via – il resto rimaneva testimone di una mattanza che e’ stata vita, storia, epica.
Con questi tronchi salvati dall’oblio, a Queenstown si continuano a creare oggetti e suppellettili, mobilio e gozzi per amatori. Le ordinazioni vengono anche dall’estero, l’ultimo gozzo inteamente di Huon Pine e’ finito in Giappone. Ma non solo. L’Huon Pine e’ un legno da museo. E diversi musei austaliani espongono mobili, barche e persino pianoforti, il cui valore sta tutto li’, nella materia da cui sono stati tratti. Poi c’e’ l’arte. La rarità del legno e le sue qualità eccezionali fanno sì che molti clienti comprino pezzi di tronchi per esporli così come sono, come si esporrebbe un quadro d’auore, o una statua. Appesi alle pareti, in bella mostra nei salotti. Rozzi, non lavorati, con la semplice bellezza del’imperfezione, ricamata dai secoli sulla corteccia tormentata.
“Special Timbers“, la segheria dei Bradshaw, non è piu’ un’industria, ma non è ancora soltanto ricordi. Vive in quella dimensione di passaggio in cui si considera, in fondo, un po’ come una fabbrica di sogni. Come uno di quegli oggetti antichi che ancora funzionano, ma che prima o poi morranno, e nessuno sapà più aggiustarli. Non sanno quanto ancora le riserve di Huon PIne dureranno. La pianta cresce con lentezza biblica – soltanto pochi millimetri l’anno. Un dettaglio che aggiunge stupore e meraviglia, di fronte a tronchi imponenti che hanno scavalcato i secoli con naturale indifferenza. E poi c’è il taglio illegale, ovviamente. Come quel signore che tra ammiccamenti e sorrisi maliziosi, mi confessa di avere a casa, nel Queensland, così lontano dalla Tasmania e dai suoi paesaggi impervi e mozzafiato, un tavolo la cui base è una sezione di un gigantesco tronco di Huon Pine. Da chi l’abbia avuto non lo dice. “Qui, da locali”, mastica gongolante. E aggiunge, con la soddisfazione ingenua che l’ignoranza spesso regala, che l’albero aveva, per lo meno, 400 anni. Dianne, che lavora per la segheria nello spaccio di Strahan – la cittadina costiera mecca del turismo e porta d’accesso alle meraviglie dell’area naturalistica dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco – si stringe nelle spalle. Sì, lo sanno che il bracconaggio c’è. Ma non è la perdita di prezioso legname che la scuote. E’ piuttosto, dice, l’assoluta mancanza di rispetto che i ladri mostrano verso questi venerandi alberi. Ed esprime, parlando dei Bradshaw e delle loro storie, l’amarezza di gente che pur avendo dissipato un tesoro naturale in oltre un secolo di attività, aveva con gli alberi un rapporto di simbiosi, e una deferenza vera, nata nel fango e tra l’intrico lussureggiante delle foreste della Tasmania.
E forse è questo, oggi, il senso di un’attività che ancora, chissà per quanto, trasforma in oggetti senza tempo gli alberi venuti dal tempo più remoto, e vissuti per un tempo che a noi uomini eè precluso. E’ un rito, il simbolismo di di un legame ancora vivo con un mondo che scompare. “Il legno noi non lo tagliamo. Noi lo celebriamo”. C’è un gran silenzio, nello spaccio della segheria. I turisti che sfilano tra i souvenir hanno il contegno di chi visita un museo, l’eccitazione di chi scopre un universo intero, la facinazione del tatto, della vista, dell’olfatto. Un grande cartello all’ingresso racchiude la fisicità di questa antica storia di uomini e alberi: “si prega di toccare,e di annusare!”. L’aria, lì dentro, è densa del profumo di quei tronchi color crema, del loro olio unico, dei loro anni. Profuma di quegli alberi, come d’incenso nelle cattedrali. Raccontarlo, questo, non si puo’. Va respirato, per credere.