I prezzi aumentano e la Bce lascia fermi i tassi

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

I prezzi aumentano e la Bce lascia fermi i tassi

04 Dicembre 2007

Giovedì
6 dicembre, a Francoforte, si riunisce l’organo di governo della Banca centrale
europea (Bce). Lunedì 10 dicembre, a Washington, si tiene l’ultima sessione del
2007 del Comitato per le operazioni sul mercato aperto della Federal Reserve.
Argomento centrale all’ordine del giorno delle due riunioni è se ritoccare i
tassi d’interesse e se il ritocco deve essere all’insù od all’ingiù.

Ricordiamo
che sulla scia della crisi finanziaria della scorsa estate (una crisi la cui
onda lunga si sta estendendo all’Europa), le autorità monetarie Usa hanno
abbassato il tasso di riferimento dal 5,25% in settembre al 4,50 adesso. La Bce
e la “Old Lady” (nomignolo di gergo per la Bank of England), li hanno mantenuti
stabili rispettivamente al 4% e al 5,75%. Il comunicato del Consiglio Bce in
novembre è stato redatto in modo accorto ma ambiguo- come se annunciasse un
incremento dei tassi per dicembre.

Venerdì
30 novembre, però, da un lato la Bce estendeva i termini delle facilitazioni
creditizie concesse a banche dell’area dell’euro in difficoltà per la crisi subprime 
(i prestiti sarebbe dovuti rientrare entro la fine dell’anno) e ,
dall’altro, l’Eurostat ha affermato che i prezzi aumentano nell’intera unione
monetaria ad un saggio più sostenuto (il 3% l’anno) del 2% l’anno considerato
come tetto da non superare dalle autorità monetarie (un tetto definito nel
regolamento Bce). In Germania viaggiano al 3,3% 
l’anno. Ad un tasso appena minore in Francia. Questi dati sottostimano
il morso: uno studio di Hans Wolfgang Brachinger, professore di statistica
all’Università di Friburgo in Svizzera (distinto e distante da noi e dal resto
dell’area dell’euro), conclude che con un paniere che meglio rispecchi le spese
delle famiglie, il tasso di aumento dei prezzi in Germania viaggia sul 7,5% (e
si tira dietro quelli di altri Paesi). L’Eurolibor – il tasso a cui le banche
si prestano soldi tra loro- è passato dal 4,26% al 4,81% nel giro di poche ore.

Tutto ciò conferma le preoccupazioni della associazioni dei consumatori sul
balzo dei prezzi alimentari in corso e sull’impennata delle bollette prevista
in gennaio. A tale preoccupazioni, il 2 dicembre da Bologna, il Presidente del
Consiglio italiano Romano Prodi ha risposto raccomandando alle famiglie
maggiore prudenza nello shopping di fine anno.

A
fronte di tale aumento del tasso armonizzato di inflazione, la Bce sarebbe
obbligata ad aumentare i tassi a norma delle sue proprie regole. Tuttavia, non
lo farà. Il servizio studi dell’istituto invia cenni tranquillizzanti secondo i
quali si tratterebbe di una vampata temporanea; nel 2008 il tasso di incremento
dei prezzi tornerebbe al 2% (o giù di lì).

 A Francoforte sanno che il fenomeno era stato
previsto con precisione da numerosi economisti nella seconda metà degli Anni
Novanta, nonostante allora non si mettesse in conto la crescita dell’economia
reale dell’Asia (con le sue implicazioni sui corsi dei prodotti di base).
Analisi di Martin Feldstein, per lustri Presidente del National Bureau of
Economic Research Usa, indicavano nelle politiche effettive per arrivare
all’euro (aumenti delle tasse, ma riduzioni limitate della spesa e poche
liberalizzazioni) la determinante di incrementi latenti di prezzi che, come una
pentola con acqua in ebollizione, avrebbero a dieci anni dalla creazione
dell’euro, fatto saltare il coperchio.

All’incalzare
dei prezzi si aggiunge la volatilità dei cambi. Il settimanale “The Economist”
in edicola dedica la copertina e l’editoriale al tracollo in atto o prossimo
venturo del dollaro Usa. Occorre dire che il servizio studi di Morgan Stanley
non condivide questa ipotesi: l’espansione dell’economia Usa, la riduzione del
doppio deficit (bilancio federale e conti con l’estero) degli Stati Uniti,
l’andamento debole dell’economia europea ed altri elementi contribuirebbero ad
un apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro del 7% nel corso del 2008%2C
cominciando a riprendere parte del 40% del proprio valore rispetto alla moneta
unica europea perso negli ultimi cinque anni. Le autorità monetarie Usa
agevolerebbero il processo mantenendo bassi i tassi reali – il loro compito
verrebbe reso più arduo da un aumento di quelli europei.

Sia gli americani sia gli europei guardano ad
oriente. Un’altra analisi della Ucla (Università delle California a Los
Angeles) conclusione sottolineando l’esigenza di forti riallineamenti dei cambi
(a di una riduzione dell’attivo commerciale della Cina) per mettere ordine
negli squilibri dell’economia internazionale. Un primo tentativo , pilotato
dagli Stati Uniti, di mettere in atto una strategia coordinata
dollaro-euro-yuan analoga dalla diplomazia del dollaro e della sterlina
adottata per risolvere gli squilibri dopo la seconda guerra mondiale. Ha fatto
cilecca.

Ci
sono molte attese però sugli esiti possibili del comitato congiunto Bce- Banca
centrale cinese (Bcc) creato la settimana scorsa dopo la trasferta a Pechino di
una maxi-delegazione europea. Ci sono aspetti politici ed economici alla base
dei possibili esiti positivi (in termini di coordinamento delle politiche
monetarie e, quindi, del valore internazionale delle principali valute chiave).
Non soltanto gli europei sembrano interlocutori più graditi degli americani ma
un lavoro econometrico di Jianhai Shi dell’Università di Pechino smentisce l’ipotesi
secondo cui una rivalutazione dello yuan avrebbe effetti contrattivi su crescita
ed occupazione.

In
questo quadro meglio non muovere paglia- ossia tassi.