I successi di Kouchner e i fallimenti di D’Alema

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I successi di Kouchner e i fallimenti di D’Alema

02 Ottobre 2007

La cena di lavoro tra D’Alema,
Kouchner e Moratinos, svoltasi nella serata del 1 ottobre 2007, sarà certamente
stata fonte di chiarimenti tra il titolare della Farnesina e quello del Quay
d’Orsay, che negli ultimi venti giorni si erano più volte scontrati sulle
rispettive posizioni riguardo al nucleare iraniano.

Sul tavolo del brain-storming tra i capi della
diplomazia francese, italiana e spagnola, oltre al dossier del nucleare
iraniano, era ben presente anche la proposta di Unione del Mediterraneo avanzata
dal Presidente Sarkozy. Ma al di là del singolo tema, l’occasione è di quelle
propizie per fare qualche riflessione sui differenti approcci di politica
estera tra Roma e Parigi. La distanza sta diventando veramente abissale dal punto
di vista dell’immagine e da quello dell’elaborazione teorico-programmatica.

Il primo dato è self-evident: il Presidente francese in
carica e il suo Ministro degli Esteri sono continuamente all’avanguardia su
ogni dossier rilevante, ultimo, in ordine di tempo, quello birmano sul quale
l’asse Washington-Parigi ha sbloccato la situazione in seno all’Onu e ha
permesso il viaggio dell’inviato Gambari a Rangoon. A questo attivismo, che
qualche reale apprensione sta comunque provocando a Berlino, corrisponde una
specie di encefalogramma piatto da parte dell’Italia. Poco più di una settimana
fa un emblematico fondo de «Il Riformista» si chiedeva: Che cosa è successo alla nostra politica estera? Ancora una volta
l’inerzia sull’Iran (in parte, ma solo in parte, giustificata dagli interessi
commerciali e petroliferi tra Teheran e Roma) era solo uno dei numerosi ambiti
nei quali l’Italia segnava il passo. Cosa dire della situazione libanese? La
presenza di oltre duemila militari italiani non è accompagnata da sforzi
diplomatici all’altezza della situazione e non a caso, questa estate, è stata
Parigi ad ospitare l’incontro dei rappresentanti politici del Parlamento di Beirut,
in vista delle prossime elezioni presidenziali. E per quanto riguarda il
Kosovo? Anche in questo caso la scadenza del 10 dicembre si avvicina e il
silenzio italiano è davvero assordante.

Se dalla presenza concreta sui
dossier internazionali, si passa a quella relativa all’elaborazione teorico-programmatica
lo iato tra Parigi Roma è ancora più preoccupante. L’elezione di Sarkozy alla
Presidenza della Repubblica è coincisa con l’apertura di un vero e proprio
“cantiere di lavoro” relativo al ruolo della Francia nel XXI secolo, a livello
globale ed europeo (tra le tante iniziative basti pensare al rapporto Védrine
sulla mondializzazione e alla commissione guidata dal centrista Morin che dovrà
produrre un libro bianco sulla difesa). Attraverso il coinvolgimento di
personalità ed esperti di tutto lo spettro politico, Sarkozy ha avviato la più
profonda revisione ed il più accurato aggiornamento della politica estera e di
difesa francese mai operata dagli anni Sessanta ad oggi. Un progetto di questa
portata avrà effetti di lungo periodo, necessiterà di un dibattito pubblico
anche acceso (per altro già avviato) e comporterà necessariamente un
ripensamento di tutti i capisaldi della diplomazia francese: asse
franco-tedesco, rapporti con gli Usa, con Isreale, con il mondo arabo, con il
continente africano, con la
Russia e in generale con l’est europeo. E per quanto riguarda
il nostro Paese? Per il momento solo iniziative di retroguardia, come
l’ammirevole ma poco decisiva battaglia sulla moratoria della pena di morte. Ma
soprattutto la difficoltà a ripensare, chiuso il post ’89 e apertasi l’era del
terrorismo internazionale, una coerente e strutturata politica estera,
efficiente, il più possibile al riparo dai continui cambi di maggioranza e non
limitata alle vacue dichiarazioni di fedeltà atlantica (governo Berlusconi) o
europea (esecutivo Prodi). L’atlantismo e l’europeismo, in questa particolare
congiuntura storica, finiscono per essere contenitori vuoti se non vengono
riempiti da una specifica declinazione nazionale. Ebbene Parigi, dal 6 maggio 2007, ha avviato questo
lento ma fondamentale processo.

Nello specifico della situazione
iraniana, le recenti notizie provenienti da oltre Oceano confermano il punto di
vista espresso da Sarkozy di fronte alla platea degli ambasciatori il 27 agosto
scorso: fare di tutto, altrimenti l’alternativa sarà «tra la bomba iraniana e
le bombe americane». Come riportato dal noto giornalista Seymour Hersh su «The
New Yorker» gli Usa pensano ad attacchi mirati. L’unica possibilità per
scongiurarli è quella di nuove sanzioni, fuori dal contesto bloccato dell’Onu.
Kouchner si è detto pronto a promuovere sanzioni a livello Ue, mentre l’Italia
insiste sulle Nazioni Unite come unica possibile via d’uscita. Una parziale
apertura sembra giungere dal Presidente della Commissione Esteri della Camera,
On. Ranieri (L’iniziativa europea sia
alternativa alla guerra
, «Il Riformista», 02-10-2007). Il timore
dell’isolamento in seno all’Europa sembra sia stato percepito anche dalla
diplomazia di centro-sinistra. Come al solito, oramai, in estremo ritardo
rispetto ai tempi di Parigi.