I tre autogol di Leo Bollinger
26 Settembre 2007
di Mario Rimini
Guardavo le notizie della televisione russa Ntv. L’argomento principale dell’edizione – Ahmadinedjad in America. E l’intervento alla Columbia, naturalmente. L’inviato a New York raccontava l’atmosfera tesa, dentro e fuori dall’ateneo, e riferiva delle opposte manifestazione pro e contro il presidente iraniano. Ma poi aggiungeva che “i manifestanti contro Ahmadinedjad sono ebrei e associazioni ebraiche”. Lo stesso dettaglio ritornava poi in merito alle dimostrazioni fuori dal palazzo Di Vetro dell’Onu.
Un dettaglio? Nient’affatto. Piuttosto, la prova lampante che se invitare il presidente iraniano Mahmud Ahmadinedjad alla Columbia University e’ stato un errore, riservargli il trattamento che mezzo mondo ha visto in televisione e’ stata una disfatta sotto il profilo della diplomazia, delle relazioni pubbliche, e della famosa e ormai sepolta “battaglia per la mente e i cuori”. L’invito con insulti ha danneggiato l’America, Israele, e la causa comune contro il fondamentalismo, il negazionismo, e la dittatura. La presentazione di Ahmadinedjad fatta da Leo Bollinger, il presidente del prestigioso ateneo, ha fatto apparire semmai quest’ultimo come “utterly uneducated” – molto ignorante, come lo stesso Bollinger ha apostrofato Ahmadinedjad proprio nel discorso introduttivo. E un miglior servizio di pubbliche relazioni, ad Ahmadinedjad, la Columbia non avrebbe potuto renderlo.
Il grande, l’imperdonabile errore e’ stato invece il trattamento riservato ad Ahmadinedjad. La feroce requisitoria di Bollinger contro quello che e’ si’ un pericoloso estremista, ma che a New York era anche il rappresentante di un intero popolo, e per di piu’ dallo stesso Bollinger invitato in un luogo simbolo della liberta’ e dei valori occidentali, e’ apparso come il tentativo goffo e posticcio di “riparare” al mare di critiche piovute sulla Columbia a causa dell’invito. Insomma, come dire: “si’ lo abbiamo invitato, ma aspettate, era solo una trappola per insultarlo.” Un ragionamento viziato da mancanza di tatto, scarsa intelligenza, e nessuna ponderazione delle conseguenze. E il risultato e’ sotto gli occhi del mondo.
In primo luogo, in politica interna. Se Ahmadinedjad era inviso a molti suoi connazionali e non godeva certo di diffusa popolarita’, l’aggressione verbale da lui subita alla Columbia – che e’ apparsa come una vera imboscata dato che il presidente era stato invitato su iniziativa dell’ateneo – ha suscitato negli iraniani disgusto e indignazione. E avrebbero dovuto immaginarlo, accademici pluridottorati come quelli della Columbia. Non si trattava certo di usare i guanti bianchi con Ahmadinedjad e di lesinargli critiche possenti. Ma da li’ a regalargli l’immagine di vittima del veleno americano, in uno dei templi simbolo della societa’ occidentale, scorre soltanto un imperdonabile fiume di ignoranza.
Il secondo guaio della Columbia si abbatte su Israele. Tra i manifestanti contro Ahmadinedjad era evidente e soverchiante – come sottolineato dall’inviato russo – la presenza di associazioni ebraiche, sopravvissuti ai campi di sterminio, e davanti alle Nazioni Unite non mancava persino il ministro degli Esteri di Israele, Tzipi Livni. Le due manifestazioni sono state accomunate nei notiziari e nell’immaginario collettivo. Ma quella che poteva sembrare come un’occasione ghiotta – farsi ritrarre dalla parte del giusto, in mezzo alla folla indignata che protesta contro il dittatore – purtroppo deve fare i conti con la logica dell’opinioni pubblica e della sensibilita’ internazionale, che non seguono regole cosi’ naïve. Risultato: in molti hanno associato l’umiliazione pubblica del presidente iraniano, la pessima ospitalita’ americana, e l’acrimonia anti-iraniana, con gli ebrei e con Israele. Quella che dovrebbe essere una battaglia globale contro l’estremismo, il negazionismo dell’Olocausto, la proliferazione nucleare e le esternazioni guerrafondaie di Ahmadinedjad, e’ stata trasformata, dentro e fuori la Columbia, nella partigiana guerra di Israele contro l’Iran. Insomma, la classica propaganda che piace al presidente. Solo che stavolta egli non ha dovuto far nulla per ribadirla. Gliel’hanno servita su un piatto d’argento, con tanto di riflettori globali, messa in scena, attori e comparse.
Il terzo autogol riguarda la gente comune. Perche’ in molti non conoscono i dettagli dello scontro con l’Iran. Si’, ci sono le armi nucleari di mezzo. Si’ c’e’ la minaccia di distruggere Israele, come si legge sui giornali. Ma la profondita’ della minaccia e la gravita’ delle argomentazioni di Ahmadinedjad non sono immediatamente percepibili per tutti. Ed ecco che arrivano Bollinger e la Columbia. E cosa mostrano alla gente ai quattro angoli del globo? Un presidente insultato e ridicolizzato sullo sfondo di risa e applausi, dopo essere stato invitato con l’inganno. E lo stesso presidente, quello che dovrebbe essere il dittatore assetato di sangue e violento, lunatico e spietato, che reagisce in una maniera molto lontana dallo stereotipo del dittatore psicopatico. Non si scompone, redarguisce con garbo la mancanza di ospitalita’ del padrone di casa, parla con una pacatezza che quasi confonde le idee e toglie risalto alle sciocchezze che dice – lo status delle donne in Iran, l’assenza di omosessuali, e ancora i dubbi sull’Olocausto e l’attacco a Israele. Un maestro di pubbliche relazioni insomma. Un tempo, contro Hitler, avevamo Chaplin e ‘Il Grande Dittatore’. Oggi ci siamo guadagnati Bollinger, e la Columbia a creare Il Grande Comunicatore.
Grazie a loro, da adesso sara’ piu’ complicato convincere molta gente che Ahamdinedjad e’ Hitler e che l’America e’ la culla della liberta’ di espressione e del fair play.
Per fortuna pero’ non tutti i mali vengono per nuocere. Se qualcuno sta pensando di mandare i rampolli di famiglia alla Columbia per assicurare loro un’educazione eccellente, tenga presente questa piccola guida dello studente: di diplomazia e strategia comunicativa in quell’ateneo sanno ben poco. Ma in compenso, sono imbattibili nel curare immagine e popolarita’. Dei dittatori.