I vizi della “democrazia democratica”
22 Marzo 2008
La cultura politica italiana—la concezione dello Stato e dei diritti dei cittadini–è sicuramente democratica ma è ancora ben lontana dall’essere anche liberale. Per comprendere tale relativa estraneità, occorre tener distinte due diverse concezioni della democrazia, unite dalla comune opposizione alle ideologie e ai regimi totalitari ma profondamente divise sul modo di intendere il significato del suffragio universale e la sua intrinseca ratio.
La prima concezione, tipica dell’Europa continentale e nata nel crogiuolo della Rivoluzione francese, vede la democrazia come elevazione morale, culturale e materiale del popolo: si va alle urne per ‘fare star meglio’ la gente, per migliorare sensibilmente la sua condizione attuale, anche se poi il risultato non corrisponde alle attese e subentra un atteggiamento di delusione nei confronti dei partiti e delle
La seconda concezione, tipica delle società anglosassoni, intende la democrazia come registrazione: si va alle urne per sapere cosa pensa e cosa vuole la gente, ritenendo che questo sia il modo migliore per contenere e regolare il conflitto sociale, anche se non sempre gli eletti ne tengono conto e si parla, in questi casi, di non corrispondenza tra ‘paese legale’ e ‘paese reale’(ma in un senso assai diverso rispetto al significato che tale contrapposizione assume nel pensiero progressista italiano in cui sta a significare che il primo, il paese legale, è incapace di dar voce al ‘nuovo’, al vario ‘grido di dolore’ che si leva dal secondo, dal paese reale. Nessuno avrebbe messo in campo quella non corrispondenza per denunciare, come faceva Indro Montanelli, il paese legale democristiano che usava i voti del paese reale cattolico per contrarre alleanze che quest’ultimo avrebbe considerato lesive dei suoi interessi e valori…)
Nel primo caso, la democrazia viene investita di un altissimo compito etico, rinviando a una filosofia politica fondata sull’inarrestabile ‘avanzata’ civile delle nazioni: l’umanità viaggia su un treno a lunga percorrenza che non deve mai retrocedere, il percorso è accidentato ma
La differenza incolmabile tra i due modi di riguardare la ‘sovranità popolare’ si coglie su una questione decisiva che non a caso la nostra saggistica—e specialmente quella giuspubblicistica dei Gustavo Zagrebelsky e degli Stefano Rodotà– tende a eludere: su cosa si fonda il diritto a governare di un ‘partito retrogrado’, che rispetta le regole del gioco e non rappresenta nessun pericolo per le libertà civili e per quelle politiche ,ma non solo è del tutto insensibile a quei contenuti ‘avanzati’ e fortemente innovatori in senso sociale della Costituzione italiana, così com’è stata interpreta da insigni giuristi come Piero Calamandrei, ma si propone, ‘addirittura’, sulla scia di altri esegeti e storici delle istituzioni di diverso orientamento come Giuseppe Maranini, di rivedere punti qualificanti del testo del 1947–sempre, ovviamente, nel rispetto dei modi indicati dalla nostra magna carta per procedere alla sua revisione?
Per la ‘democrazia democratica’ , chi non ‘porta avanti’ il carro del progresso ( questa volta sembra del tutto lecito l’impiego dell’abusatissimo anglismo ‘to carry on’, atto a far risaltare la pregnanza della metafora ) e vuole cancellare—in tutto o in parte—l’opera legislativa dei governi che ad essa si sono ispirati, qualora risulti vincitore nella competizione elettorale, può accedere alla cabina di comando solo in virtù della dura lex del ‘principio di maggioranza’ e del buonismo ormai straripante nella political culture italiana ed europea che prescrive tolleranza–una tolleranza, beninteso, che si regge solo sul principio della ‘non violenza’ ma non sul dubbio epistemologico che gli altri possano avere ragione—e riconoscimento ‘legale’ dei
Per la democrazia liberale, invece, purché non si violi il regolamento di gara e non si attenti ai principi contenuti nella carta costituzionale (ma a stabilirlo non devono essere il letterato o il giornalista enragé ma gli organi dello Stato a ciò preposti,a partire dalla Presidenza della Repubblica che può rinviare alle Camere i disegni di legge di dubbia costituzionalità), tutti i vincitori hanno lo stesso titolo alla guida del paese: se sono conservatori vuol dire che, in quella tornata, hanno prevalso negli elettori interessi e preoccupazioni legati allo status quo; se sono innovatori, vuol dire che la società ha avvertito il bisogno di cambiamento e si è espressa di conseguenza. In definitiva, per la democrazia democratica, la legittimità politica abita solo nella casa del progresso; per la democrazia liberale, non sta né da una parte né dall’altra ma incorona indifferentemente chi è ‘arrivato prima’—sempreché, va ribadito, non abbia offeso i Geni della ‘libertà dei moderni’ che custodiscono i diritti dei cittadini.
Certo ci sono ragioni storiche non di poco conto che spiegano il prevalere da noi della ‘democrazia democratica’. L’Italia è uno dei pochi grandi paesi europei in cui lo Stato sorge dalla ‘guerra civile’ tra una sinistra rivoluzionaria, che, fin dall’alba giacobina del Risorgimento, sogna l’Italia
Della tenace persistenza della ‘democrazia democratica’ nel DNA della politica italiana, testimonia la recente esternazione del Presidente della Repubblica che, dal lontano Cile, ha manifestato il timore che possa verificarsi un record dell’astensionismo nella prossima consultazione elettorale..
In Italia, l’ astensionismo non viene dalla fiducia ma dal suo contrario, ovvero da atteggiamenti antichi di rifiuto della politica che possono legati, però, talora un deluso ‘investimento’ sulle capacità dei partiti di cambiare radicalmente la vita e il destino degli individui.. In un’ottica liberale, però, il ‘qualunquismo’, come tutti i bisogni , le speranze, le insofferenze espresse da una collettività, va censito e ‘registrato’ senza toni censori. Oltretutto,l’astensione dal voto può risultare nociva ai fini del rinnovamento profondo del sistema ma escluderne l’efficacia in maniera tassativa potrebbe essere un portato della ‘falsa coscienza’ cioè della ragione sociale dei ‘professionisti della politica’ che possono dividersi su mille questioni ma sono poi tutti interessati a che i servizi da loro offerti continuino sempre a trovare acquirenti.—un po’ come i tabaccai di una stessa via che si fanno concorrenza ma si ritrovano poi uniti dalla difesa della libertà di fumare. In ogni caso, squalificarla moralmente rinvia a una concezione ‘impegnativa’, salvifica, della politica che è l’antitesi della ‘democrazia liberale’. Per quest’ultima, la libertà non è
3./fine