Il 2024 sarà l’anno dei populismi?
08 Gennaio 2024
Il 2024 sarà l’anno dei populismi? Per rispondere a questa domanda, partiamo dal nostro Paese. Finora in Italia la coalizione di centrodestra, come si dice, ‘ha tenuto’. Particolarmente in politica estera, con la scelta netta presa dal Governo Meloni di continuare a sostenere l’Ucraina nell’ambito dell’Alleanza atlantica. Decisione che se Fratelli d’Italia non aveva mai messo in discussione, anche quando era all’opposizione, non si può dire caratterizzasse in modo così granitico le altre forze della attuale maggioranza. Qualche segnale d’instabilità però comincia ad esserci.
Mes, Patto di Stabilità ed elezioni europee
La scelta di sottoscrivere il patto di stabilità, il giorno prima, e di rinunciare al Mes, il meccanismo europeo di stabilità, il giorno dopo, per esempio. Sul Mes l’oscillazione del governo tra fare un salto di qualità in chiave più propriamente europeista, oppure restare ancorati a una dimensione che fondamentalmente ha a che fare con le posizioni populiste è emersa con chiarezza. Così come potrebbe esserlo dire ‘sosterremo il nuovo presidente della commissione europea ma senza entrare nella maggioranza’, se mai ci sarà una o la stessa Ursula.
“Credo che quest’anno in Italia a un certo punto i nodi verranno al pettine,” dice il presidente della Fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliariello, intervenuto questa mattina in tv su la7. “Allora capiremo davvero, più sulle scelte politiche che sulle questioni elettorali come le prossime elezioni regionali in Sardegna, se la maggioranza e soprattutto se il presidente del consiglio dei ministri ce la faranno o meno”. Considerando, sottolinea Quagliariello, che “a livello internazionale quello che avremmo dovuto fare lo abbiamo fatto ed anche sui conti la situazione non è facile ma non lo sarebbe stata per nessuno”.
“Penso che il populismo sarà il vero protagonista del 2024,” chiosa Quagliariello. Con buone probabilità, anche a livello internazionale. Il 2024, aggiungiamo noi, potrebbe inserirsi infatti a pieno titolo nello scenario post Guerra Fredda caratterizzato dalle ondate populiste. Ragionando sui massimi sistemi va detto innanzitutto che lo scenario internazionale appare sempre più interconnesso e attraversato da macro trend economico-sociali che contribuiscono a determinare nuovi assetti e paradigmi su scala mondiale. Qualche esempio?
La perdita di prestigio delle potenze dominanti, l’indebolimento delle alleanze del passato e il rischio di nuovi conflitti, il ripiegamento autocratico di sistemi che si pensava avviati verso la democrazia e la crisi degli stessi sistemi democratici esistenti, la bassa produttività, l’inverno demografico (ad esclusione di giganti come India e Africa), la crisi dei grandi agglomerati urbani o la green revolution più o meno ‘sussidiata’, sono tutte questioni che in una società globalizzata tendono a interconnettersi. Insieme ai rispettivi populismi.
Se torna Donald Trump
Tra Pil in frenata, bolle immobiliari, indebitamento delle amministrazioni pubbliche, disoccupazione giovanile oltre il 20%, la Cina corre molti rischi. Se la situazione economica del Dragone continuasse a peggiorare potrebbero esserci delle ripercussioni interne, al livello regionale o globale. Seppure Xi Jinping sembra resistere al potere, ormai è presidente da più di dieci anni, un suo indebolimento innescherebbe con maggiore probabilità un rigurgito populista in Cina, con un aumento del rischio di un conflitto tra Pechino e Taiwan. Così come aumenterebbero i rischi di frizione nel Vietnam ricco di terre rare. Dopo il recente viaggio di Biden, ad Hanoi è arrivato anche Xi, per rilanciare i rapporti bilaterali.
Se invece Xi dovesse farsi da parte, ipotesi meno probabile, ci ritroveremmo con una potenza che sceglie di esercitare un potere ‘continentale’, e forse, per questo, più stabile, ma comunque impoverita e attraversata da crisi politiche cicliche tra Partito, establishment militare e insorgenza delle opposizioni all’interno della società. Anche le prossime elezioni presidenziali Usa da questo punto di vista potrebbero ulteriormente complicare le cose, considerando che l’inasprirsi della polarizzazione politica negli Usa tocca livelli che l’Europa ancora non conosce.
Un eventuale ritorno di fiamma degli americani per Donald Trump – i sondaggi da tempo dicono questo – potrebbe rianimare i sovranisti Usa, che pur di accelerare una soluzione negoziata del conflitto russo-ucraino spingerebbero Zelensky e la Ue a fare concessioni a Putin. Questo ringalluzzirebbe anche i BRICS che si sentono minacciati dall’unilateralismo USA e dalle sanzioni che gli americani usano come strumento attraverso la supremazia del dollaro.
Populismo e crisi di autorevolezza delle potenze dominanti
La crisi di autorevolezza che investe le due grandi potenze in Occidente e a Oriente può coincidere dunque con una nuova ondata populista e una messa in discussione sempre più forte dell’ordine internazionale liberale già ammaccato. Anche in Europa sarà importante capire quali saranno i risultati elettorali: l’impressione è che non si modificheranno di molto gli assetti di potere nella Ue, le relazioni tra i Paesi membri, ma la tendenza appare quella a ridare forza alle istanze nazionali pur in un quadro non antieuropeista. Mentre in tutta Europa crescono i populisti duri e puri, basti pensare al successo di Geert Wilders in Olanda.
Medio Oriente e Nord Africa continuano ad essere mine vaganti, polveriere percorse da conflitti e guerre civili (Etiopia, Sudan, Yemen, Gaza). L’Egitto in questo senso ha un ruolo non secondario nella stabilizzazione del quadrante e per garantire le rotte strategiche come quella di Suez e del Mar Rosso. Ma il rischio al Cairo è sempre un revival della Fratellanza Musulmana. Il populismo islamico, se si può definire così. Il prolungarsi del conflitto tra Israele e Hamas invece tenderà a mettere sotto pressione l’Iran, la Turchia e di conseguenza il sistema di relazioni ancora in piedi tra Ankara, Teheran e Mosca. Iran, Turchia e Russia. Alcuni di questi Paesi il salto dal populismo ai regimi illiberali lo hanno già fatto. Con la Turchia invece l’America di Biden ancora ci parla.