Il Bhutan al voto per non finire come il Tibet

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Il Bhutan al voto per non finire come il Tibet

24 Marzo 2008

Proprio mentre il Tibet sotto
dominio cinese affronta l’ennesima repressione, un altro piccolo Tibet sta per
completare quietamente il suo approdo al mondo della democrazia. Oggi, lunedì 24 ci
saranno infatti le prime elezioni libere nello storia del Bhutan: Staterello
himalayano tra India e Cina.  Piccolo:
2.300.000 abitanti, meno della popolazione di Roma, su 47.000 chilometri
quadrati, circa come Lombardia e Piemonte assieme. Di cultura tibetana: l’unica
nazione al mondo dove il tibetano è lingua ufficiale. Di fede buddhista:
l’unica nazione al mondo dove il tipo di buddhismo del Dalai Lama è religione
di Stato. Governato poi da un re benevolo e patriarcale che regola
drasticamente il flusso dei turisti stranieri per non alterare la cultura
tradizionale del Paese, ma che d’altra parte si preoccupa sinceramente di
pilotare il suo popolo verso la modernità: sia pure col minimo di scosse
possibili. Il titolo ufficiale di Sua Maestà Jigme Khesar Namgyal Wangchuck,
salito al trono il 14 dicembre 2006 all’età di 26 anni, è quello di Druk Desi: “Re Drago”. E a lui Isabel
Allende infatti si è chiaramente ispirata per l’immaginario “Regno Proibito”
del suo romanzo per ragazzi “Il Regno del Drago d’Oro”. Oltre a ciò Jigme
%0AKhesar Namgyal Wangchuck è anche Je
Khenpo
, “Abate Supremo”: il capo cioè della setta Drukpa nella scuola Kagyupa
del buddhismo tibetano, e l’incarnazione di Matreya.
Il Buddha del futuro, che verrà alla fine dei tempi per dare a tutte le anime
il Nirvana, e che equivale al Messia
nella tradizione giudaico-cristiana e al Mahdi
in quella islamica.

Eppure questo sovrano temporale,
spirituale e addirittura metafisico naturalmente assoluto, dopo 370 anni di
potere altrettanto assoluto della sua dinastia ha deciso di ordinare al suo
popolo di credere nella democrazia. Anzi, a essere precisi ha iniziato il suo
papà Jigme Singye Wangchuck, nato nel 1955 e sul trono dal 1974, che nel 1994
decise di dare al suo popolo una Costituzione, costituendo un’Assemblea
Nazionale in cui 35 membri nominati da lui, 10 eletti dai monasteri buddhisti e
151 dal popolo: non però con voto persona per persona, ma famiglia per
famiglia. Poi nel 2001 ha
annunciato una nuova Costituzione per un nuovo parlamento eletto in modo
normale, e con la facoltà perfino di destituire il sovrano, a maggioranza dei
due terzi. Terzo passo è stata la sua abdicazione in favore del figlio, con la
contemporanea promessa di libere elezioni entro il 2008. E il quarto l’ha fatto
il 22 aprile 2007 il nuovo Re Drago, revocando la legge che vietava la creazione
di partiti politici. Che però restavano una realtà esotica per il suo popolo,
allo stesso modo di liste e urne. Per preparare i suoi fedeli sudditi a essere
liberi, dunque, Sua Maestà ha deciso di fare una serie di elezioni di prova.
Alcune grandi esercitazioni con tanto di campagne elettorali e scrutinio, in
modo da impratichire i bhutanesi con il nuovo, eccitante gioco. Jigme Khesar
Namgyal Wangchuck, va ricordato, ha studiato a Oxford. E nelle scuole inglesi è
tradizione insegnare la democrazia proprio stimolando i ragazzini e riprodurre
il voto dei grandi, compresi i nomi delle liste. Anche Blair fu eletto
“deputato” per la prima volta in un tale contesto, con la differenza che
all’epoca era conservatore.

Lo stesso 22 aprile 2007 si fece
il primo turno delle elezioni di prova, con quattro partiti: Drago Giallo, con
un programma in favore del mantenimento delle tradizioni; Drago Rosso,
favorevole allo sviluppo industriale; Drago Azzurro, contrario alla corruzione;
e Drago Verde, che come ci dice il nome era appunto ecologista. Sono arrivati
ai primi due posti i Gialli e i Rossi, e questi hanno appunto partecipato al
ballottaggio del 28 maggio 2007. Dal 51% del primo turno gli elettori sono
saliti al secondo fino al 66% dei registrati: un totale di oltre 160.000
persone. E il Drago Giallo, già vincitore al primo turno col 44% dei suffragi,
ha avuto un ulteriore plebiscito, conquistando 46 dei 47 collegi uninominali.
Insomma, il re vuole dare al popolo la democrazia, e il popolo la usa per dire
che vuole veder governare il re. “Ogni filosofia della democrazia deve basarsi
sulla cultura, la storia e le tradizioni del Paese in cui si vota”, spiegò il
capo dell’organismo elettorale, il signor Kunzang Wangdi. “Scalda il cuore
vedere il modo in cui il popolo apprezza che la tradizione rappresenti una
parte integrale del nostro processo di modernizzazione”. Lo stesso Wangdi
salutò anche il fatto che “la fede del popolo del Bhutan nel sistema della
monarchia, e in un re in cui abbiamo tutti grandi speranze, sia stata pure
rinforzata”. Curiosamente, l’unico dei 47 collegi che votò in massa in favore
dello sviluppo industriale risultò però proprio quello dell’estremo Nord-Est.
Cioè, quello che si trova nell’angolo più remoto, inaccessibile e himalayano
del Paese. Come a dire che sì, un re-abate democratico che prende per mano i
sudditi nel cammino verso quel futuro cui d’altronde è orientato anche dal
punto di vista teologico come incarnazone del Buddha Maitreya è bello. Ma a
vivere in eterno in mezzo agli yeti, agli yak e alla neve, la voglia di strade
intasate, aria inquinata e spot volgari in televisione ti prende per forza.

Comunque, lunedì si voterà sul
serio. Anche nella realtà i partiti che si sono costituiti erano quattro, ma si
si sono ridotti a due. Il Partito Nazionale del Bhutan (Bnp), curiosa alleanza tra
ex funzionari, militari e imprenditori, non è riuscito infatti a trovare le
firme per registrarsi, mentre il Partito Unito del Popolo del Bhutan e il
Partito di Tutto il Popolo hanno deciso di semplificare il quadro fondendosi
nel Druk Phuensum Tshogpa. Traduzione
più fedele possibile del nome: Partito per un Bhutan Virtuoso. Leader: il
ministro dell’Interno e della Cultura Jigme Yoser Thinley, già premier nel
1998-99 e nel 2003-04 e ministro degli Esteri tra 1998 e 2003, con l’appoggio
di tre dei quattro colleghi del governo e anche del prestigioso monastero di Pangrizampa.
Programma: la riduzione delle diseguaglianze tra ricchi e poveri, il che ha
indotto qualche osservatore straniero a parlare di un “partito socialdemocratico”.

L’altra forza in campo è invece
il Partito Democratico Popolare (Pdp), guidato dal quinto ministro: il titolare
dell’Agricoltura Sangay Ngedup a sua volta premier nel 1999-2000 e nel 2005-06.
Malgrado il nome vagamente marxista Il Pdp ha invece un programma imperniato su
democrazia e diritti umani, che ha indotto invece gli osservatori ad
assimilarlo a un partito liberale. Folklore a parte, che comunque non guasta a
inculturare la democrazia nelle tradizioni locali, è singolare il contrasto tra
il processo di democratizzazione pilotato dall’alto in Bhutan e la situazione
del vicino Nepal: altra monarchia himalayana, dove però l’ostinata resistenza
della democrazia all’apertura democratica ha infine portato alla proclamazione
della repubblica. Ma è vero che, al di là della simile collocazione geografica,
i due Stati sono in realtà di cultura abbastawnza diversa. La dinastia del
Bhutan è infatti di cultura tibetana e di religione buddhista; quella del Nepal
di cultura indo-aria e di religione induista.