Il calcio dura novanta minuti. Tutto il resto è noia

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Il calcio dura novanta minuti. Tutto il resto è noia

25 Febbraio 2010

Il mondo del calcio italiano, per intenderci tutto quello che ruota attorno alla partita di calcio vera e propria, è di una noia mortale.

E’ un mondo popolato da strane tipizzazioni umanoidi. Prendete il prototipo del giornalista sportivo: è spesso costretto a riciclarsi dalle redazioni di cronaca, politica e costume per deficienze, per così dire, strutturali (conoscenza della grammatica, ortografia, capacità di argomentazioni logiche), passa la settimana ad inventarsi notizie (che notizia ci potrà mai essere infatti se la partita non si gioca) e la domenica a disquisire di tutto e su ogni squadra, che viene da chiedersi come faccia a seguire 5/6 partite contemporaneamente. Parla di tattiche, ripartenze e diagonali senza aver né mai giocato al calcio, né tanto meno aver mai allenato, neanche la squadra dell’oratorio.

Alquanto bizzarro è anche il mondo dei manager del calcio italiano: presidenti un po’ naif (vi ricordate quel Presidente al quale dissero “La sua squadra manca di amalgama” e lui rispose “Questo amalgama, dove gioca, quanto costa, compriamolo subito!) e troppo tifosi, con pochi soldi e molte ambizioni. Direttori sportivi, spesso ex-calciatori, che dovrebbero gestire la complessità di business milionari, avendo raggiunto a fatica il diploma di geometra. Per non parlare dei procuratori, vetero faccendieri, che soprattutto nei periodi di calcio mercato, con l’aiuto, si spera non interessato, della stampa sportiva, vagheggiano di trasferimenti milionari dei loro assistiti (in borsa si chiamerebbe aggiotaggio).

Ci sono poi gli allenatori per così dire politically correct, quelli che anche quando affrontano una squadra avversaria di una categoria inferiore dicono “Partita difficile, bisogna rimanere concentrati”, oppure quando l’arbitro ha evidentemente reiteratamente sbagliato “L’arbitro decide in un decimo di secondo, tutti possono sbagliare” o infine facendo la disamina della partite “La mia squadra ha vinto perché ha fatto un goal in più dell’avversario”. La saga delle banalità e continuano a non accorgersi che il calcio è business e valutarne i contorni con l’ovvietà dei principi sportivi, significa parlare del nulla.

Un mondo quindi tanto noioso e scontato quanto omertoso, un mondo infatti che per anni ha fatto finta di non sapere che di sportivo nel campionato italiano c’era ben poco, le vittorie erano equamente spartite tra le solite squadre, tranne qualche eccezione tanto per confermare la regola. Direttori sportivi che tenevano al guinzaglio arbitri e designatori in un pattume gelatinoso (per usare un termini di attualità) che gestiva designazioni arbitrali, ammonizioni, esplulsioni mirate e trasferimenti ci calciatori. Venne chiamato calciopoli e fu la vergogna del calcio italiano.

In questo mondo fintamente ovattato arriva un anno e mezzo fa un allenatore diverso e che ha tutto per essere antipatico al mondo del calcio italiano. Jose Mourinho.

Tanto per cominciare guadagna tanto, elemento di patologica devianza in una società come quella italiana, dove l’invidia sociale spesso guida molte dinamiche sociali e politiche, disconoscendo a priori il merito. Guadagna tanto e lo dice senza pudore, aggravando così la sua immagine agli occhi dei suoi detrattori che dimenticano che è uno dei migliori al mondo nella sua professione, ha vinto ovunque ha lavorato ed è un professionista vero. A questo proposito è stata sconsolante la sorpresa che ha colto molti addetti ai lavori quando Mourinho ha fatto la sua prima conferenza stampa in Italia, in un italiano perfetto e comunque migliore senz’altro di quello di molti presenti in sala. Evidentemente per questi signori il professionista è solo quello che dice, magari con problemi di sintassi, quello che loro vogliono che dica.

Da quel momento in poi, il nostro ha cominciato a scardinare pezzo dopo pezzo la retorica e l’omertà del mondo del calcio, semplicemente dicendo quello che pensa a colleghi e giornalisti che, anche se non lo dicono, aspettano ogni sua conferenza stampa come se fosse l’Angelus domenicale.

Per venire alle ultime vicende d’attualità, l’allenatore dell’Inter dice: mi si spiega perché gli arbitri stanno usando metri di giudizio diversi a sfavore dei campioni d’Italia che portano, per esempio, alle seguenti stranezze statistiche: l’Inter è la squadra che fa più possesso palla nel campionato italiano, ma è stranamente in testa alla classifica del numero dei giocatori espulsi insieme al Catania (con tutto il rispetto) oppure è anche la squadra con più azioni d’attacco durante un match, ma è stranamente ai primi posti nella classifica dei rigori a sfavore, per non parlare infine di strane decisioni su calendari e partite da recuperare.

Ma bisogna “abbassare i toni”, frase odiosa e omertosa alquanto usata troppo spesso anche in altri ambiti della società italiana e così Mourinho si becca 3 giornate di squalifica senza aver nemmeno parlato dopo l’ultima giornata di campionato, dopo un ridicolo processo all’intenzione.

Per concludere, l’allenatore portoghese, mi ricorda tanto un signore molto più ricco di lui, un piccolo genio nel suo lavoro, che 3 lustri orsono decise di scardinare il mondo omertoso dei poteri forti italiani e per questo è diventata la persona più indagata al mondo e più odiata in Italia. Anche a lui, si chiede spesso di abbassare i toni, di rispettare le istituzioni anche quando le stesse dicono e fanno stupidaggini.

E’ la fine di chi è nato postumo.