Il Canada è in prima linea contro i talebani
06 Luglio 2007
Non che non ci sia opposizione alla partecipazione delle truppe canadesi alla guerra che gli alleati della NATO stanno combattendo in Afghanistan contro i Talebani. Anche qui ci sono coloro – pochi, in verità – che ritengono che i veri banditi siano gli americani, e non i Talebani, e che sarebbe meglio che i canadesi si dissociassero dalla NATO e tornassero a casa.
Ma fa un certo effetto, da italiano abituato ai lamenti pubblici delle mamme dei soldati (per fortuna quasi tutte vittime soltanto potenziali) e agli urli parlamentari della sinistra radicale, assistere alla reazione del paese di fronte alla recentissima morte (4 luglio) di altri sei soldati canadesi, vittime insieme al loro interprete afghano di una bomba fatta esplodere al passaggio del loro blindato. Sono ora sessantasei i canadesi morti in combattimento in Afghanistan dal 2002, un numero certamente non piccolo e destinato ad aumentare, visto che i 2.500 canadesi presenti sul territorio sono giornalmente impegnati in azioni di combattimento nella regione di Kandahar e che il governo non ha nessuna intenzione di rinnegare l’impegno a restare in Afghanistan almeno fino al febbraio 2008.
Il primo ministro, Stephen Harper, leader del Partito Conservatore, ha ribadito oggi a Halifax (dove si trova chi scrive) l’impegno del suo paese in tal senso, in ossequio peraltro a una decisione presa dal suo predecessore, Paul Martin, che apparteneva invece al Partito Liberale. Certo, si dirà, Harper è un conservatore, una specie di Silvio Berlusconi del Canada, cosa poteva dire di diverso? Il fatto è che anche Stéphane Dion, leader dell’Opposizione, una sorte di “intellettuale di sinistra” secondo i nostri vetusti schemi mentali, ha detto le stesse cose di Harper. Ecco, ha detto Dion, “i rischi che corrono ogni giorno i soldati canadesi in Afghanistan, dove servono il loro paese e il popolo afghano collaborando a riportare speranza e stabilità in questa martoriata regione”. Punto e basta. Nessun attacco al governo e nessuna richiesta di richiamare le truppe.
Il comandante in capo delle truppe canadesi in Afghanistan, il generale Timothy (Tim) Grant, ha inoltre ricordato che se i canadesi hanno perso sei dei loro soldati, “gli afghani muoiono a decine tutti i giorni” a causa delle mine (note come “Improvised Explosive Devices”, o IED), che i Talebani piazzano tra la gente con tattiche che non possono essere definite che “terroriste”, e che la presenza canadese evita tutti i giorni che altri afghani vengano assassinati da quelle bombe.
E cosa dire delle famiglie delle vittime? Nessun lamento televisivo, nessuna accusa al governo, ma soltanto familiari pieni di dolore, che mettevano in luce come i loro figli o i loro mariti fossero morti nel compimento del loro dovere, impegnati in una operazione militare nella quale credevano.
E finalmente, in un editoriale pubblicato in occasione della visita del primo ministro Harper, proprio il giorno della morte dei sei soldati canadesi ma prima che la notizia fosse resa pubblica, il quotidiano di Halifax, The Chronicle Herald, ricordava che mentre gli americani, i britannici, e i canadesi facevano il loro dovere in Afghanistan, altri paesi, specificando che si trattava della la Germania e dell’Italia, erano “alleati meno uguali” degli altri, perché impedendo alle loro truppe di impegnarsi in combattimento non facevano la loro parte nell’Alleanza e di fatto la indebolivano.