Il caso Fiat-Chrysler insegna: il mercato punta sul medio-lungo termine

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Il caso Fiat-Chrysler insegna: il mercato punta sul medio-lungo termine

07 Aprile 2009

Back to the old Fiat?” . Questa l’affermazione, foriera di oscuri presagi, che da il titolo ad uno studio di Deutche Bank sul costruttore torinese pubblicato il 4 Febbraio dal sito Borsa Italiana.

I research analyst della banca teutonica hanno espresso forti preoccupazioni per gli indicatori economici finanziari del Lingotto, così come per le linee strategiche disegnate dal management del gruppo. La fotografia del gruppo per il 2009 è a tinte fosche: fatturato in calo del  12% rispetto al 2008, utili praticamente azzerati, il margine di redditività industriale ridimensionato di due terzi.

Ma ancor peggiori sarebbero i valori specifici dei mercati di riferimento:  l’auto italiana rivela una previsione di flessione maggiore degli altri mercati europei, quella  brasiliana (che apporta a Fiat una ampia marginalità) perderà il 30% del suo valore. Negativo anche il giudizio sul probabile accordo tra il Lingotto e Chrysler, la più giovane tra le “three big” .  Al di là delle motivazioni portate in luce dagli analisti – rischio sovrapposizione gamme, cannibalizzazione dei volumi commerciali , blocchi sociali all’ inevitabile cura dimagrante a cui verrebbe sottoposto il gigante americano, dubbi riguardo alle sinergie industriali e d’acquisto – colpisce l’affermazione che apre il paragrafo : il gruppo comincerebbe a godere appieno degli eventuali benefici dell’alleanza tra un decennio. L’operazione, qualunque siano gli esiti, non potrà influenzare gli short term result.

Il 4 Febbraio il titolo Fiat prezzava 4,04 euro, un timido “hold” , spaventato dalle performance ancor peggiori dei concorrenti, appariva su quasi tutti gli studi finanziari. E’ trascorso un mese esatto. Oggi i mercati premiano l’azienda per la probabile conclusione della trattativa con Chrysler. Il valore del titolo riflette, oggi, il valore di un alleanza strategica che darà i suoi primi frutti nel medio-lungo termine.

La finanza sbaglia. Sbaglia ontologicamente. La finanza si basa sul principio che più veloce si libera il capitale immobilizzato in un investimento, maggiore è il guadagno. Principio valido in un’economia di mercato, che fonda il proprio sviluppo sulla crescita perpetua. Qualunque investitore razionale vorrebbe ritornare immediatamente dei suoi esborsi, limitando l’esposizione al rischio e avendo la possibilità di reinvestire il denaro. Il rapporto con il tempo per un investitore in una situazione di rischio è molto frenetico; il tempo scandisce la distanza dal successo o dall’insuccesso di un’operazione.

Tuttavia i principali attori finanziari come le banche d’investimento, impiegano denaro per comprare altro denaro e ne ricavano denaro che reimpiegano in un ciclo a tempo zero: non hanno lead time, lavorano in situazione di completa liquidità. Non hanno vincoli di fattori produttivi. Non ci sono macchine da acquistare, persone da addestrare, metodi da migliorare.

Ecco dove risiede il cortocircuito: la finanza sbaglia perché la sua ermeneutica del tempo è falsata dal mezzo produttivo. Al contrario, l’economia industriale ha un rapporto con tutti i fondamentali fattori produttivi dell’economia: capitali si, ma anche manodopera, metodi, materie prime e macchine. Il tempo dell’economia è una media ponderata del tempo di realizzo di questa filiera complessa. Sono i fattori produttivi e l’abilità delle persone di aggregarli e utilizzarli a scandire la produttività di un business.

La lezione dei subprime e dei derivati sta insegnando molto al mercato e a tutti i cittadini delle democrazie capitalistiche occidentali. Il capitalismo facile, della scomparsa del rischio e del debito a miscela infinita, del hinc er nunc , sta rivedendo i propri presupposti.

Fiat è in questo momento il catalizzatore mediatico della reazione che il sistema economico-capitalistico con la sua energia e la sua incessante capacità di perpetuarsi, ha messo in campo: la reazione di Piazza Affari alla joint venture americana dimostra la voglia del mercato di tornare a dare sostanza al tempo dell’economia. Il mercato capitalistico esprime il desiderio di rifondare il proprio pattern di crescita su pilastri di medio-lungo termine. Per Chrysler, la dimensione del tempo risiede nelle piattaforme tecnologiche torinesi, non nella liquidità vorticosa di qualche fondo di private equity.