Il Cav. faccia un passo avanti, solo così sconfiggerà i ribaltonisti (politici e togati)

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Il Cav. faccia un passo avanti, solo così sconfiggerà i ribaltonisti (politici e togati)

15 Settembre 2011

Oggi si registra il più grande e beffardo paradosso della lunga guerra che settori ben determinati della magistratura, quelli “democratici”, hanno dichiarato dal 1994 a Silvio Berlusconi. Ieri il premier avrebbe chiesto al Capo dello Stato la disponibilità alla firma di un decreto legge sulla diffusione a mezzo stampa delle intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria e utilizzate per distruggere l’immagine pubblica delle persone intercettate.

Il Capo dello Stato avrebbe rifiutato un decreto legge che riguardava la materia penale e, meno di ventiquattro ore dopo Silvio Berlusconi viene incriminato per la diffusione del contenuto di una intercettazione telefonica, quella relativa al colloquio tra Piero Fassino e Giovanni Consorte nelle more della scalata alla Bnl da parte di Unipol, quella dove Fassino pronuncia la famosa frase: “Allora abbiamo una banca”.

Così l’uomo politico più perseguitato d’Italia, quello più intercettato e spiato illegalmente – attraverso la tecnica di mettere sotto controllo tutti i telefoni delle persone che passano nelle sue residenze e e nei suoi uffici – è l’unico ad andare a processo per aver violato le norme sulle intercettazioni. Abbiamo letto migliaia di pagine di intercettazioni che hanno sputtanato esponenti del centrodestra, uomini vicini al premier, persone la cui unica colpa è credere che l’articolo 15 della Costituzione sia ancora in vigore, mentre la magistratura inquirente l’ha da tempo abrogato.

Non so, e non riesco a rendermi conto se la classe dirigente italiana – compresi quegli esponenti di centrodestra che chiedono a gran voce il “passo indietro” di Berlusconi, sperando di far dimenticare quanto siano stati espressione della leadership del Cav, – si rendano conto del fatto che la barbarie giudiziaria ha portato l’Italia in una condizione più preoccupante di quella del 1992-1993. Come allora convergono tre fattori di instabilità che possono precipitare ed esporre le istituzioni democratiche a rischio: la crisi economica, la crisi di rappresentanza (che allora toccava i partiti e oggi i “politici”) e l’evidente tracimazione di potere della magistratura.

Come allora, qualcuno pensa di potere mettere fuori gioco un blocco sociale e politico e ereditare il governo senza passare per il bagno democratico delle elezioni. Che vanno semmai preparate perché non diano luogo a “sorprese” come fu quella del 1994.Per questa strada, però, non riusciremo a risolvere nemmeno uno dei problemi che rendono l’Italia meno forte e prospera di quanto potrebbe essere. Perché si evita ancora una volta il confronto tra le possibili soluzioni e non ci si divide lungo l’asse naturale di diverse e contrapposte politiche economiche e sociali. Piuttosto che cercare di costruire un confronto tra soluzioni, rispettando la regola secondo la quale chi ha vinto le elezioni governa fino alla fine del mandato e dopo si sottopone al giudizio degli elettori, si coltiva demagogicamente la credenza magica che basti cacciare gli attuali “politici” per vedere immediatamente risolti i problemi storici del Paese.

Per questo oggi il premier dovrebbe fare un “passo avanti”. Indicare con chiarezza l’obbiettivo – abbattere il debito e la spesa pubblica e rilanciare lo sviluppo secondo la ricetta liberale  – chiamare tutti gli italiani a fare la loro parte per riportare nei prossimi sette anni l’Italia a quelle condizioni di sviluppo che hanno consentito nello scorso secolo a una nazione sconfitta dalla guerra di entrare nel club dei sette grandi del mondo e di essere fondatore a pieno titolo dell’Europa. Solo così, forse, si potrebbe evitare la pagina buia di un triste commissariamento del Paese e l’apertura di un pericolosa fase di trasformismi e ritorsioni, di imbarbarimento della vita pubblica e di definitiva trasformazione del regime democratico in regime giudiziario.

Anche a sinistra dovrebbero riflettere perché il “caso Penati” è lì solo per ricordare loro che, anche se Berlusconi verrà fatto fuori, nessuno, nemmeno il Pd, potrà mettere in discussione la supremazia politica delle procure.