Il Cav. punta sulla ripresa ma le toghe scioperano contro la manovra

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Il Cav. punta sulla ripresa ma le toghe scioperano contro la manovra

03 Giugno 2010

Magistrati a braccia conserte per due giorni. L’Anm ha deciso: sciopero contro la manovra varata dal governo Berlusconi e mobilitazione a livello territoriale. Domani l’assemblea del comitato direttivo centrale deciderà il calendario delle proteste.  Un’iniziativa fortemente stigmatizzata dal centrodestra, mentre dall’Idv arriva il soccorso dipietresco agli ex colleghi, proprio nel giorno in cui il premier smonta le voci di un rapporto conflittuale con il ministro Tremonti e ribadisce il senso del decreto: stabilizzazione e interventi sul fronte della crescita.

Le toghe in sciopero. L’Anm considera le misure adottate dall’esecutivo “ingiustamente punitive nei confronti dei magistrati che sono consapevoli della crisi economica in cui versa il Paese e non intendono sottrarsi al loro dovere di cittadini e contribuenti. E’ inaccettabile essere considerati non una risorsa, ma un costo o addirittura uno spreco per la giustizia”. In particolare le toghe contestano il fatto che il decreto del governo "incide unicamente sul pubblico impiego, senza colpire gli evasori fiscali, già beneficiati da numerosi condoni, i patrimoni illeciti, le grandi rendite e le ricchezze del settore privato; paralizza l’intero sistema giudiziario e scredita e mortifica il personale amministrativo; svilisce la dignità della funzione giudiziaria e mina l’indipendenza e l’autonomia della magistratura; incide in misura rilevante sulle retribuzioni dei magistrati nella prima fase della carriera, soprattutto dei più giovani che subiscono una riduzione di stipendio fino al 30 per cento. Questo significherà allontanare i giovani dalla magistratura".

Esempi alla mano, l’Anm denuncia che così si “colpisce in maniera iniqua, indiscriminata e casuale. Ad esempio, un pubblico dipendente magistrato o altro funzionario, con uno stipendio lordo di 150.000 euro subira’ un taglio di stipendio di 3.000 euro lordi l’anno (cioè il 2% dello stipendio), mentre un magistrato di prima nomina con uno stipendio lordo di circa 40.000 euro subirà tagli complessivi per circa 10.000 euro lordi l’anno, circa il 25% dello stipendio". I magistrati, infine chiedono all’esecutivo "interventi strutturali che consentirebbero di ridurre le spese nel settore giustizia e di recuperare risorse per lo Stato, secondo le proposte più volte avanzate dalla magistratura associata: la soppressione dei piccoli Tribunali, delle sezioni distaccate di Tribunale e della metà degli Uffici del Giudice di pace; misure che consentirebbero di risparmiare, a regime, decine di milioni di euro".

Insomma uno scenario quasi apocalittico che il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto respinge al mittente sottolineando che ”lo sciopero proclamato dall’Anm conferma che ci troviamo di fronte a un’associazione che fa politica in modo continuo e organico”. E il viceministro alle Infrastrutture, il leghista Castelli rincara la dose ritenendo un “pò triste che la magistratura italiana, che vede i propri emolumenti al vertice dell’Unione europea, scenda addirittura in sciopero perché non accetta di partecipare ai sacrifici che vengono richiesti a tutti. Almeno ai tempi d’oro della riforma Castelli i magistrati scioperavano con la Costituzione in mano… Adesso cosa faranno? Infuocate assemblee sventolando le bollette della luce?”.

Agli esempi citati dall’Anm sugli effetti della manovra replica coi dati alla mano il parlamentare del Pdl Luigi Vitali, membro della Consulta Giustizia del Pdl ricordando come le toghe pronte allo sciopero non considerino un fatto di per sé fondamentale: “I sacrifici richiesti ai magistrati riguardano redditi superiori ai 150 mila euro annui”. Particolare che cambia molto lo scenario dipinto dal sindacato dei magistati, specie sulla questione dei giovani pm.

Berlusconi smonta gli "intrighi di Palazzo". Lo fa con una nota di Palazzo Chigi nella quale ribadisce il lavoro svolto insieme al titolare di Via XX Settembre e calibra l’attenzione su due punti in particolare. Il primo riguarda la manovra di stabilizzazione finanziaria. Una manovra – spiega la nota di Palazzo Chigi – basata “sull’impegno europeo e poi sviluppata attraverso un comune e intenso lavoro di preparazione.

Nell’ambito di una grave crisi finanziaria, la più grave nel mondo dopo quella del 1929, il governo Berlusconi è fermamente convinto di avere fatto la cosa giusta, nel tempo giusto, nell’interesse dell’Italia”. Il premier illustrerà il pacchetto di misure in Parlamento “certo del senso di responsabilità della sua maggioranza;. Il secondo punto si concentra sugli interventi per favorire la ripresa. Berlusconi e Tremonti ci stanno lavorando e nella nota di Palazzo Chigi si parla di “un grande progetto di liberalizzazione delle attività economiche per rendere il nostro Paese competitivo sulla crescita”.

Rispunta il taglio alle mini-province. E’ la novità della giornata dopo lo stop and go dei giorni scorsi. La strada questa volta è il disegno di legge sulla Carta delle Autonomie, all’esame della commissione Affari costituzionali della Camera. A riproporre la riduzione degli enti di piccole dimensioni territoriali è un emendamento a firma del relatore (e presidente della commissione) Donato Bruno che fissa un tetto minimo alla popolazione (200mila abitanti) affinché possa costituirsi una provincia. Il che, a conti fatti, metterebbe a rischio nove realtà.

Al momento è il Piemonte la regione che pagherebbe il prezzo maggiore con tre province che potrebbero sparire: Vercelli, Biella e Verbano-Cusio-Ossola. La Lombardia ne dovrebbe sacrificare una (Sondrio), esattamente come le Marche (Fermo), il Lazio (Rieti) e il Molise (Isernia). Due invece le province in bilico in Calabria: Crotone e Vibo Valentia. Tuttavia il meccanismo non è automatico e dunque alcune province potrebbero salvarsi dalla “sforbiciata”. L’emendamento infatti prevede che la soppressione sia fatta anche in base ”all’estensione del territorio” nonché ” tenendo conto della peculiarità dei territori montani” così come vuole la Costituzione.

La proposta resta l’ultimo nodo da sciogliere prima che il ddl possa passare all’esame dell’Aula di Montecitorio, anche se il relatore assicura che lo slittamento è una questione esclusivamente di rispetto nei confronti dei colleghi, in particolare di opposizione, che hanno chiesto più tempo per l’esame delle novità.

Quanto al “clima” all’interno della maggioranza, specie sul versante leghista, Bruno assicura che “non ci sono problemi e non c’è motivo” per temere che alla prima seduta utile (fissata per martedì prossimo), l’emendamento non venga approvato.  Intanto, un via libera, seppure informale, arriva anche dal ministro leghista Roberto Calderoli secondo il quale “l’orientamento del governo è favorevole, ma per un parere formale ora attendiamo la discussione che ci sarà in commissione”.Un passo in avanti dopo le fibrillazioni tra finiani e leghisti.