Il centrodestra può tornare a vincere, ora diamoci da fare
07 Giugno 2016
Fare un bilancio di queste elezioni vuol dire anche farlo per il nostro progetto politico, alla prima prova vera in cui ci si confronta con la realtà dei numeri. Per “Idea” le cose non sono andate affatto male. Innanzi tutto, per un giovane movimento non era scontato essere presente in circa cinquanta competizioni elettorali. Alcuni dati peraltro sono più che significativi. Le liste che abbiamo presentato da soli hanno eletto consiglieri praticamente dappertutto. Molte delle liste che abbiamo promosso insieme ad altri sono andate in doppia cifra. Alla fine di questa consultazione, ci troveremo con una cinquantina di consiglieri comunali eletti e qualche sindaco.
Questi, però, possono essere considerati “interessi privati in atti d’ufficio”. Ci sono invece tre indicazioni generali che escono da questa tornata elettorale, che a me pare diano ragione alla nostra visione e ai comportamenti che da essa sono stati ispirati.
In primo luogo, quando avevamo sostenuto che un atteggiamento arrogante e delegittimante da parte del presidente del Consiglio non avrebbe pagato e avrebbe portato il sistema in un vicolo cieco – anziché in un rinnovato bipolarismo, in una versione 2.0 del trasformismo –, non ci eravamo sbagliati. Il Pd come partito ha ancora una struttura, anche se è sempre più indebolita dalla cura Renzi. Ma è senza alleati potenziali. Verdini è una realtà solo in Parlamento. E aver ridotto i centristi di Ncd a docili comparse non ha portato bene neppure al Pd stesso. Oggi ci si trova così a dover gestire un tripolarismo liquido con un sistema elettorale come l’Italicum che regola il quadro politico con la razionalità di una roulette russa. Peccato che, se il colpo parte, a rimetterci le penne può essere la nostra democrazia.
Da qui discende la seconda previsione azzeccata: per i princìpi liberali, cristiani, conservatori, a sinistra non c’è spazio. Se ti ostini a rimanere da quella parte, prima perdi voti e poi smarrisci anche l’anima. Esiste invece uno spazio alternativo al renzismo che la crisi di Forza Italia amplia e certo non annulla. In mancanza di un soggetto politico organizzato, quello spazio è occupato da liste civiche.
Infatti – e siamo al terzo “vaticinio” – dove il civismo ha aggiunto qualcosa e trasformato il centrodestra, si è politicamente vinto. Milano, in tal senso, è l’esempio paradigmatico. Ma nello stesso solco vanno inscritte Trieste, Grosseto, Brindisi, Isernia, Latina. E questo per fermarci solo ai capoluoghi. Qui le liste civiche che abbiamo contribuito a presentare hanno preso sempre percentuali superiori al 5 per cento e non possono essere confuse con quella miriade di simboli messi in campo solo per arrotondare i decimali e mobilitare qualche candidato in più.
Ci sembra dunque che dal punto di vista del centrodestra questa tornata elettorale possa essere considerata come lo stadio più avanzato di una transizione in atto: transizione che non può compiersi contro Berlusconi ma nemmeno più esclusivamente nel suo segno. C’è un’area identitaria ed estrema ben definita e riconoscibile. E’ quella di Fratelli d’Italia e Lega. Da sola non vince. E c’è un’area liberale, cristiana, conservatrice, che è in fieri, della quale Forza Italia è parte ma non tutto. Se quest’area si definisce sulla base di princìpi di riferimento solidi e di una forma partito moderna ma non liquida, e regola il rapporto con l’altra componente, il centrodestra è potenzialmente la coalizione più forte. Certo, deve trovare un leader. Ma gli esempi di Parisi, Dipiazza, Brugnaro, ci fanno capire che non si tratta di un problema insolubile.
Non abbiamo molto tempo: se si batte Renzi in un referendum mal concepito e mal proposto, un anno e mezzo. In caso contrario, un anno scarso. E’ arrivato perciò il momento di iniziare a raccogliere e a ordinare tutto quello che fin qui abbiamo coltivato. E non è un lavoro da poco.