Il ciclone giudiziario si abbatte sulla rossa Firenze e il Pd trema
01 Dicembre 2008
Dopo circa una settimana, nonostante il “catenaccio” stretto della stampa nazionale, la notizia è infine filtrata: la giunta rossa di Firenze è stata investita da un ciclone giudiziario. Nell’area di Castello, il piano strutturale individua un punto strategico dello sviluppo della città per i prossimi decenni. Proprio su quei 170 ettari (limitrofi all’aeroporto, lungo la direttrice nord-ovest) si concentrano la costruzione di edifici pubblici (le nuove sedi di Regione e Provincia), residenze, alberghi, centri commerciali, oltre a una parte destinata a verde pubblico. Recentemente, nella stessa area è stata proposta anche la realizzazione del nuovo stadio. E, da quel che emerge, i passaggi per definire il progetto sarebbero stati fortemente caldeggiati da un gruppo edile lombardo, proprietario del terreno, che non avrebbe lesinato incoraggiamenti ad amministratori e persone influenti della città. Sicché, posto sotto indagine dalla Procura, l’assessore Gianni Biagi intimo del sindaco Domenici ha rassegnato le dimissioni e la stessa sorte è toccata al direttore della Nazione. Quest’ultimo non figura tra gli indagati ma compare nelle intercettazione telefoniche con i vertici del gruppo imprenditoriale lombardo con un ruolo di mediazione finalizzato alla definizione dell’operazione Castello. Mentre un altro assessore indagato, Graziano Cioni, uomo forte della giunta rossa soprannominato per questo “lo sceriffo”, prova eroicamente a resistere.
La notizia è ghiotta ma non è un lampo a ciel sereno. S’inserisce in un contesto di crisi più ampio. Tanto da far immaginare che, forse, in Toscana potrebbe accadere qualcosa d’importante. Per capire che cosa, conviene ripercorrere brevemente la storia del potere rosso nella regione, cercando di coglierne origini, peculiarità e punti di forza.
Il fatto è che la Toscana non è una regione rossa come le altre. La sua collocazione a sinistra trova origine nella struttura mezzadrile, che nel corso dell’Italia liberale fu la spina dorsale del partito socialista e che poi, nel corso del ventennio, il fascismo seppe conquistare ed egemonizzare. La potenza del Pci nel dopo-guerra s’inserisce in questo stesso solco di continuità. Il che aiuta a capire perché, nei luoghi dove la struttura mezzadrile continuò a permeare il tessuto sociale o si sviluppò dando vita a una piccola imprenditoria a sfondo familiare, il potere rosso si stabilì indisturbato. Mentre nelle aree urbane e in alcune enclave tradizionalmente più autonome (Lucca e il grossetano) la democrazia cristiana e le forze del centro-sinistra riuscirono a lungo a resistere. In questo scenario la stessa Firenze non può considerarsi una città stabilmente collocata a sinistra, come i nomi di alcuni dei suoi sindaci – La Pira, Bargellini e Conti – bastano ad attestare.
L’origine sociale e la scia di continuità che il potere rosso seppe sfruttare chiariscono anche perché qui, a differenza che nella vicina Emilia, l’egemonia di sinistra si sia iscritta nel segno della conservazione, se non proprio dell’immobilismo. In Toscana, infatti, la sinistra non è stata protagonista di nessuna sperimentazione sociale né ha tentato di dare risposte inedite alla sfide della modernità. Ha avuto la più elementare pretesa di gestire lo status quo come garante di un relativo benessere, eliminando ogni alternativa e guardando con fastidio persino a ogni innovazione interna.
Questa ricetta, in particolare dopo la fine dei partiti della prima Repubblica, si è fondata su tre capisaldi principali. Sotto l’aspetto culturale si è avvalsa della confluenza naturale tra il cattolicesimo democratico e le posizioni laiche avanzate in un generico progressismo. Sotto l’aspetto economico ha trovato nel Monte dei Paschi una potenza in grado di influenzare, insieme, lo sviluppo della regione e gli assetti di potere all’interno del principale dei partiti della sinistra anche a livello nazionale. Sotto l’aspetto politico, infine, il potere municipale ha trovato copertura nei comportamenti della magistratura che per anni ha colpito spesso e volentieri le poche amministrazioni gestite dal centro-destra, quasi che il malaffare avesse un colore politico obbligatorio e prestabilito.
Questi tre contrafforti stanno cedendo contemporaneamente. Il fatto che il costruttivismo dal terreno sociale si sia spostato su quello antropologico investendo problemi quali l’origine della vita e la morte, ha messo in crisi l’alleanza tra il cattolicesimo progressista e il mondo laico. Oggi, per seguire i laicisti, i cattolici democratici sono costretti a trasformarsi in democratici tout court. Non bastano più uno sbiadito pacifismo né qualche manciata di multiculturalismo a buon mercato per coprire contraddizioni sempre più evidenti. La banca senese, dal suo canto, subisce le conseguenze di una crisi finanziaria in grado di espugnare anche le cittadelle medievali. D’altra parte, il fatto che la situazione di dissesto nella quale versa l’università di Siena sia venuta alla luce proprio ora è la cartina di tornasole di una situazione d’inedita debolezza. Infine, anche la santa alleanza tra socialismo municipale e magistratura sembra stia ora cedendo.
Insomma: nel muro compatto del potere toscano si avvertono sinistri scricchioli. Il centro-destra ha un’occasione storica. Resta da vedere se avrà anche la forza di una proposta e una classe dirigente all’altezza dell’opportunità che gli si presenta.