Il cinema racconta la favola bella di Marilyn oltre la dannazione e il sesso
03 Giugno 2012
Marilyn Monroe è stata la ragazza del piano di sopra che ogni uomo vorrebbe avere. La ragazza a cui si alza la gonna in “Quando la moglie è in vacanza” (1955) di Billy Wilder. Quel refolo di vento filtrato dalle grate della metropolitana su una strada di New York, davanti ad un cinema, mentre si bolle dal caldo, contribuì in maniera determinante a istituzionalizzare l’icona della bellezza, della gioventù, degli anni migliori della vita.
L’immagine di Marilyn si è fissata nel tempo, e resiste al tempo. Marilyn Monroe è un mito che si nutre di se stesso. Divora se stesso. E si alimenta incessantemente. Nell’ultimo ventennio non si contano biografie, filmati, rivelazioni e documenti secretati venuti alla luce. Piccoli tasselli di un mosaico che ruota sempre attorno a due elementi: il sesso e la morte. Con chi si accompagnava (e come, e dove) la diva hollywoodiana; e chi l’ha uccisa. Neppure il serio e sobrio Clint Eastwood, nella sua recente biografia per immagini di Hoover, è riuscito a tenersi alla larga da questa morbosa attrazione. Nel film non vediamo né lei né il Presidente J.F. Kennedy in una camera d’albergo: ma sappiamo sin troppo bene che sono loro.
Joe Di Maggio, il mitico giocatore di baseball, marito follemente innamorato dell’attrice, lo ha spiegato sin troppo bene. Marilyn custodiva in sé la dannazione di non essere amata. Non credeva che un uomo potesse veramente amarla. Questa insanabile ferita Marilyn se l’era procurata durante l’infanzia. Padre sconosciuto, madre instabile mentalmente, una dozzina di famiglie dove è stata in adozione, un finto genitore che le ha usato violenza. E poi mariti a ripetizione. E depressione. Medicinali per il sonno, per tenerla sveglia, per la paura di non farcela, per la fiducia di farcela: insomma per tutto. Infine la morte. Le illazioni sui mafiosi amici della famiglia Kennedy, che avrebbero dato una mano nel farla addormentare per sempre.
Finalmente un film su Marilyn ci risparmia sconcezze, illazioni, supposizioni. E prova, con semplicità disarmante, a farci capire chi è stata questa donna bellissima e sfortunata. Il film è “Marilyn” (“My Week with Marilyn”) di Simon Curtis, tratto dalle memorie dello scrittore inglese Colin Clark. Marilyn nell’estate del 1956 si reca in Inghilterra per girare con Laurence Olivier “Il principe e la ballerina”. L’attrice americana è sposata con lo scrittore Arthur Miller, e al cospetto di un attore come Olivier, che scandisce le battute di Shakespeare divinamente, è intimorita. La lavorazione è un disastro. Marilyn ha inspiegabili ritardi, si impappina, si tormenta, piange, crolla e fugge dal set. Il mondo sembra sprofondarsi sotto i suoi piedi e trascinarla in fondo. Ha bisogno di aggrapparsi a qualcuno, ad un amico: e lo trova nel giovane Colin Clark, assistente tuttofare di Olivier.
Colin è un ragazzo modello. Viene da una famiglia di intellettuali (suo padre è un Lord, celebre storico dell’arte), ha studiato a Eton e Oxford, ma vuole fare il cinema. Insieme passeranno una settimana indimenticabile: l’attrice troverà la forza di concludere il film; il ragazzo custodirà per tutta la vita l’indelebile ricordo di quei giorni.
“Marilyn” ha l’impianto della favola romantica. E questo a molti ha fatto storcere il naso. La storia di Marilyn deve essere coniugata sempre sul versante della dannazione. Ma l’aver contravvenuto a questa regola, in definitiva, è il bello del film. Pensare che una diva al massimo della celebrità, che quando appariva in strada bloccava il traffico, e se entrava in un locale magnetizzava tutti gli sguardi, tenesse sul comodino la foto della madre e quella del presidente Abraham Lincoln (lo aveva scelto come padre, perché di quello vero non aveva mai visto il volto), è un faro acceso sui demoni che hanno accompagnato l’esistenza di Marilyn.
Nel film ci sono pochi attori ma buoni. Michelle Williams è un’appropriata Monroe, così come Kenneth Branagh è un perfetto Olivier. Meglio guardare Marilyn Monroe nel finale in stile “Nuovo Cinema Paradiso” che spiarla dal buco della serratura.