Il connubio impossibile tra preferenze e presidenzialismo
25 Luglio 2012
Anche nelle situazioni più drammatiche, a saperlo cercare, c’è sempre un lato comico che ci può se non altro consolare. Ed è con questo spirito che abbiamo appreso una notizia che, nel pieno di una crisi politica e istituzionale senza precedenti, non può che farci sorridere. Oggi un nutrito gruppo di volenterosi dirigenti del PdL ha convocato una manifestazione per il lancio di una petizione a sostegno della sovranità popolare (sic!).
La cosa in sé già contiene una notevole dose di (involontaria) comicità. Che un gruppo di autorevoli esponenti politici, che negli ultimi dieci anni ha rivestito delicati incarichi di governo o comunque ruoli politici di assoluto rilievo rivendichi la sovranità popolare fa sorridere. E del resto se si ritiene che la sovranità popolare sia messa in pericolo (da parte di chi? del governo Monti?), la prima cosa da fare sarebbe cercare di ridare immediatamente la parola al popolo sovrano.
E invece i medesimi dirigenti hanno dato e continuano a dare la fiducia al governo o comunque (anche se quando si tratta di votare semmai si assentano dall’aula) fanno parte di un partito che fornisce un’indispensabile appoggio all’esecutivo. E dirigenti del calibro di Ignazio La Russa, Giorgia Meloni, Guido Crosetto, Fabio Rampelli, Andrea Augello … dovrebbero sentire il dovere della coerenza: non si può i giorni dispari tenere in piedi un governo ed i giorni pari accusare il medesimo governo di attentare nientemeno che alla sovranità popolare. Siamo alla riedizione del Partito Comunista Italiano partito di lotta e di governo.
Ma l’effetto comico aumenta se andiamo un po’ più nei dettagli del contenuto della manifestazione, le cui parole d’ordine sono presidenzialismo e preferenze come strumento per restituire ai cittadini il potere di scelta dei propri rappresentanti. Il fatto è che le due ricette proposte – reintroduzione del voto di preferenza ed elezione diretta del Presidente – sono, non solo diverse, ma radicalmente incompatibili. Le due ricette rispondono a logiche istituzionali opposte è non ha alcun senso concreto invocarle contemporaneamente. La strategia presidenzialista si fonda sulla consapevolezza dei rischi per la tenuta della democrazia connessi alla debolezza dell’esecutivo, all’incapacità decisionale, alla frammentazione della rappresentanza politica, al trasformismo parlamentare … Rischi a fronte dei quali i presidenzialisti ritengono opportuno che il vertice dello Stato abbia una diretta legittimazione popolare. In una logica presidenzialista l’obiettivo delle istituzioni democratiche non è quello di offrire una rappresentanza il più possibile precisa degli orientamenti del popolo, ma piuttosto è quello di fornire una rappresentanza di tali orientamenti che garantisca la capacità del sistema di adottare decisioni efficaci e tempestive. In una logica presidenzialista gli elettori dovrebbero orientarsi in funzione di un meccanismo di identificazione non statico (voto il partito o il candidato che rispecchia le mie idee) ma dinamico (voto per il partito la cui proposta di governo sia la meno lontana possibile dalle mie idee). In una logica presidenzialista la verifica del tasso di democraticità del sistema non è affidata alla concreta possibilità dell’elettore di scegliere il suo rappresentante ma a quella di scegliere il governo ed il suo capo.
Del tutto opposta è evidentemente la logica del voto di preferenza (cancellato a furor di popolo dopo il crollo della Prima Repubblica). Il voto di preferenza implica un sistema elettorale di tipo proporzionale, parlamentari fortemente radicati sul territorio e che svolgano quell’attività di “mediazione” fra elettori e potere, essenziale per la raccolta delle preferenze, partiti divisi in correnti, un governo debole e un parlamento forte, e quindi un sistema tendenzialmente consociativo. Del resto ve lo immaginate un Presidente eletto dal popolo costretto ogni giorno a confrontarsi con un Parlamento popolato da potentissimi deputati, i collezionisti delle preferenze, insofferenti ad ogni forma di disciplina parlamentare, perché del tutto indifferenti all’unico vero potere deterrente in mano al Presidente (la minaccia di scioglimento anticipato delle Camere e di non ricandidatura alle successive elezioni)?
Ora qui non si tratta di dire quale delle due strategie sia preferibile. Si tratta più semplicemente di chiarire che le due strade sono radicalmente alternative. Il semipresidenzialismo è la strategia più efficace per uscire dal pantano della Seconda Repubblica avviando la costruzione della Terza. Il ritorno del voto di preferenza sarebbe anch’esso il superamento del nostro maggioritario imperfetto ma verso una (improbabile) restaurazione della Prima Repubblica. Ma sia chiaro …. eletta una via non datur recursus ad alteram.