Il contrattacco mediatico del premier ha un’unica regola: non mollare mai
21 Gennaio 2011
Le regole della comunicazione di crisi sono chiare: quando la situazione può precipitare e si rischia l’assedio mediatico, l’ultima cosa da fare è tacere, negare il problema, procedere a forza di “no comment” e interrompere i canali comunicativi. Lo si insegna nei corsi universitari, lo sostengono costosi seminari di aggiornamento per capitani d’azienda. Figuriamoci se non lo sa un padreterno della comunicazione come Berlusconi.
Il contrattacco mediatico impostato dal Cavaliere mette in luce in primo luogo due aspetti: la scelta di percorrere sentieri già battuti in precedenza e un innalzamento del livello di allarme rispetto alla media delle molte situazioni critiche vissute e superate in passato. Il primo aspetto è evidenziato dall’uso massiccio di videomessaggi preregistrati con inquadratura fissa a mezzo busto e rassicurante sfondo istituzionale: quasi un marchio di fabbrica da diciassette anni a questa parte, visto che proprio con un videomessaggio (velato appena da una calza) era partita l’avventura politica di Berlusconi.
La scelta dei temi della polemica (le intercettazioni e soprattutto i magistrati intenzionati a “sovvertire l’esito democratico del voto”), inoltre, non fa che ripetere fedelmente refrain già tante volte intonati. Il ricorso, almeno in tv, al fuoco di copertura dei fedelissimi (Fede, Minzolini e Signorini su tutti) completa il quadro, introducendo al contempo il secondo aspetto. Non dev’essere stato facile per il leader di lungo corso di un grande paese, infatti, decidere di affidare al testo meditato di un videomessaggio registrato espressioni come quella riguardante l’età apparente dell’allora minorenne Ruby Rubacuori e annunci da trionfo del gossip come quello sul legame stabile con una nuova compagna.
Si tratta di spie evidenti di come l’asticella si sia dovuta alzare: di fronte alla pubblicazione di cotante intercettazioni e alle evidenze segnalate dalle celle telefoniche, meglio evidentemente esporsi più del solito che rimanere incastrato in un cul de sac. Un altro politico, al posto di Berlusconi, si sarebbe forse chiuso in un ostinato silenzio oppure, come aveva fatto inizialmente Piero Marrazzo, avrebbe negato tutto con sdegno. Lui, invece, ha scelto di mettere l’accento sul suo lato istrionico e generoso, limitandosi a negare le accuse più strettamente legate al sesso: le pretese orge diventano cene o tutt’al più feste, i presunti compensi diventano donazioni a persone in difficoltà, la presenza delle ragazze ad Arcore non è negata, ma solo inquadrata in un contesto sano e gioioso. E se anche a qualcuno degli elettori il dubbio rimane, vale sempre il fascino del superomismo, che vanta illustri predecessori e sotto sotto ammalia ancora una bella fetta di cittadini.
Difficile dire se la strategia riuscirà: in Italia l’unica tattica vincente sembra quella della rimozione, dell’oblio, della notizia “chiodo scaccia chiodo” in grado di far venire a tedio situazioni mediatiche che prima apparivano senza uscita. Anche le famose 10 domande di Repubblica al Premier dopo una tenace insistenza dovettero lasciare il passo ad altri temi senza che Mauro e colleghi ne venissero a capo.
Stavolta il panorama sembra più fosco (oltre che più trash) degli scandali Noemi e D’Addario. E la tv non sembra certo più l’oasi beata di un tempo: rispetto agli sforzi profusi dai fedelissimi già citati e dai sodali più soft (come Vinci, Vespa e Mimun), fanno parlare di sé molto di più le stilettate di Mentana, il no di Floris e il rituale processo messo in scena da Santoro, che ieri sera ha avuto vita facile sulla esitante difesa d’ufficio affidata a Belpietro e Santanché.
Ma da qui a dare per tramontato l’astro (anche solo mediatico) di Berlusconi ce ne passa: i tanti che in quasi due decenni lo hanno vaticinato sono stati puntualmente smentiti dai fatti.