Il coronavirus ha diviso l’Italia ma nessuno se ne preoccupa

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Il coronavirus ha diviso l’Italia ma nessuno se ne preoccupa

17 Maggio 2020

La cosiddetta “Questione meridionale ha una sua declinazione etico-politica assai in voga nell’ultimo periodo. La quale, tra l’altro, ha alimentato una corrente di revisionismo storiografico volta a dimostrare, nelle sue versioni più estremizzate, come i processi che portarono all’unità d’Italia, e in particolare la lotta al brigantaggio che ne seguì, non furono legittima rivendicazione della sovranità nazionale – si direbbe oggi con linguaggio caro a una parte politica – ma brutale guerra di conquista portata avanti con mezzi che neppure il fine avrebbe potuto giustificare.

Ci fermiamo qui perché il tema non può risolversi in due righe e soprattutto perché non è di questo che vogliamo parlare. Nella sua versione originaria, infatti, la “Questione più antica della storia unitaria – quella meridionale, per l’appunto – fu eminentemente questione economica. Andando al nocciolo: appena la penisola si unì s’iniziò a discorrere se, di fronte alla necessità d’industrializzare il Paese, bisognasse assecondare la sua naturale dualità perché lo sviluppo del nord avrebbe agevolato la crescita dell’intera nazione, ovvero puntare a creare un blocco di interessi omogenei nelle due parti dello stivale, per cambiare gli equilibri politici e mitigare le differenze.

Nel primo caso s’indulgeva verso l’adozione di politiche protezionistiche, che avrebbero potuto difendere il nascente processo d’industrializzazione; nel secondo si sposavano ricette liberistiche, per mettere il latifondo meridionale in concorrenza con i mercati dei Balcani, favorire la frammentazione della proprietà terriera e rompere l’asse tra industriali del nord e latifondisti del sud. Questo per l’essenziale. Poi, dell’una e dell’altra ricetta, sono state offerte versioni differenti: conservatrici, riformiste o rivoluzionarie.

Anche in questo caso dobbiamo fermarci, per non trasformare un articolo sulla politica di oggi in un Bignami. Quel che vale la pena evidenziare, però, è cheal tempo della globalizzazione, per una sorta di nemesi storica, i termini originari della Questione” li ritroviamo sovvertiti. Nel contesto del Terzo millennio, infatti, la liberalizzazione dei mercati al massimo livello possibile – roba che i De Viti De Marco i Guido Dorso i Gaetano Salvemini avrebbero sognato -, invece di stimolare l’economia del sud ha messo a durissima prova il suo già slabbrato tessuto. Per l’essenziale, nell’ultimo decennio poche delle piccole industrie meridionali sono riuscite a diventare medie: taglia necessaria in molti casi per reggere la concorrenza globale

Il Mezzogiorno si è così impoverito (in fondo reddito di cittadinanza e trionfo del Movimento 5 Stelle sono figli anche di questa dinamica) e ha provato a reinventarsi, puntando sui servizi, sul turismo, sulla ricettività; trasformando questi settori nella sua “industria” di riferimento. Per far questo in modo non impressionistico e rabberciato, assai più che di sussidi il sud avrebbe bisogno di condizioni di contesto: garanzie di sicurezza, strade e trasporti, recupero dei borghi storici, servizi di telecomunicazione efficienti. Queste richieste, in fondo, potrebbero rappresentare il nocciolo duro di un programma d’attuazione del cosiddetto “regionalismo differenziato”: se il nord ha bisogno di più autonomia, il sud ha bisogno di più Stato sussidiario. Non quello che sublima la tua disponibilità a sopravvivere con poco ma quello che agevola, col suo intervento, la tua voglia d’intraprendere.

Prima della pandemia eravamo agli inizi ma qualche passo, lungo questa strada, si era mosso. D’altro canto,se il settore dei servizi nel 2019 ha rappresentato il 74% del Pil nazionale, in questo dato è compreso anche il contributo proveniente dal sud. Anche perché nel Mezzogiorno quest’ambito dell’economia risulta di gran lunga più in espansione rispetto alla industria tradizionale e all’agricoltura.

Ora però, con la crisi del “coronavirus”, rischia di accadere qualcosa di terribile e di paradossale. Non c’è dubbio, infatti, che il lockdown non differenziato abbia tutelato maggiormente, dal punto di vista sanitario, i territori collocati sotto la linea di Civitella del Tronto (luogo simbolico: si compì lì il 20 marzo 1861 l’ultima resistenza dei “cafoni” contro i Conquistatori Sabaudi).

Non siamo dei virologi ma una delle cause di quest’esito lo possiamo comprendere persino noi. Mentre in Lombardia i morti si contavano a migliaia, a Bergamo una parte dei lavoratori si recava comunque al lavoro nelle fabbriche aperte perché strategiche affinché la vita della nazione potesse continuare: uscivano, prendevano un mezzo pubblico, s’incontravano sul posto di lavoro. Al centro-sud, invece, questo fenomeno è stato assai più limitato perché quando da Roma in giù hai chiuso il turismo, i servizi, i negozi e la ristorazione, per strada non resta più nessuno.

Ora, però, questa maggiore tutela sanitaria rischia di avere un costo economico insopportabile. Non soltanto perché tutta l’economia di prossimità (quella fondata sulle “reti di relazioni” care a Gianfranco Miglio) ha chiuso prima e ancora non riparte. Ancor di più perché,se non ci si rende conto della problematica, rischia di non ripartire mai più. Il danno per lo Stato e per l’erario sarebbe enorme e potrebbe persino compromettere l’equilibrio finanziario del Paese; il danno per il centro-sud sarebbe addirittura mortale.

Il decreto di aprile poi diventato di maggio, che verrà però approvato a giugno (la sua gestazione è durata più a lungo della monarchia di Umberto II), la problematica sembra infatti proprio ignorarlaIn questa sede ci asteniamo da un giudizio complessivo sul provvedimento, che ci riserviamo per altro momento. Ci limitiamo a rilevare che se per l’industria tradizionale c’è qualcosa di concreto (vedi alla voce Irap), se l’edilizia potrà sfruttare il rilancio di “eco bonus” sisma bonus”, quel che si trova su turismo, servizi e ristorazione va coperto subito da un velo pietoso, per evitare di passare dall’imprecazione all’insulto.

E’ bene ripeterlo: questa carenza non riguarda soltanto (e nemmeno in particolare) l’economia del centro-sud, ma per il centro-sud rischia di essere letale perché in questa parte del Paese colpisce al cuore le sue stesse possibilità di sviluppo economico nelle nuove condizioni del mondo.

Veniamo così al vero problema di questo governo: al di là dei passi falsi, delle insufficienze personali, delle cadute di stile e degli svarioni istituzionali, quel che ad esso manca è innanzitutto un’idea di questo Paese e di come esso potrà ripartire. Il ministro Provenzano, ad esempio, che pure è una delle poche persone raziocinanti della compagine governativa, si è posto il problema di come evitare che un Paese tagliato in due dalla pandemia lo diventi anche dal punto di vista delle opportunità della ripartenza, questa volta a parti invertite? Ha fatto di questo un tema di dibattito pubblico? Si è posto il problema di come coniugare i problemi del Mezzogiorno con quelli delle sue aree interne a distanziamento sociale per così dire “naturale”, provando a trasformare una doppia penalizzazione (sei del sud e pure dell’area interna!) in un’opportunità, già a partire da quest’estate?

Si potrebbe continuare, troppo a lungo. Noi su tutto ciò abbiamo ascoltato solo un silenzio assordanteForse eravamo distratti. Abbiamo sentito soltanto di un provvedimento di riunificazione dei fondi europei non programmati (per carità, benemerito, visto il comportamento di alcune regioni meridionalima sospettiamo che esso si trasformi in unoccasione per sottrarre risorse finanziarie al sud, anziché provvedere a spenderle presto e in modo sensato esclusivamente a suo vantaggio.

Di fronte a questo atteggiamento dell’esecutivo, sarebbe bene che la “Questione” venga assunta, sviscerata, tradotta in proposte concrete (e non in tweetplease)almeno dalle forze ostili a questo governo. E divenga uno dei capitoli della sfida per le prossime elezioni regionali, indipendentemente da quando queste si svolgeranno. Si voterà, allora, in Campania e in Puglia:le due ragioni più grandi ed economicamente importanti del sud. Senza una sfida a questo livello, temiamo che le consultazioni si possano trasformare in un mero atto di conferma degli uscenti perché in troppi penseranno, sbagliando, chin mancanza di un’idea alternativa di sud, in queste condizioni, meglio non lasciare la via vecchia…