
Il coronavirus, l’importanza delle nazioni e l’Italia “vaso di coccio” dell’Occidente

29 Febbraio 2020
Non sappiamo quale sarà l’evoluzione dell’infezione da Coronavirus nel mondo, e naturalmente ci auguriamo che il suo impatto sia il minore possibile, e l’emergenza attuale venga superata al più presto. In ogni caso, l’epidemia diffusasi dalla Cina ha già rappresentato comunque un rilevante spartiacque negli equilibri del mondo globalizzato, marcandone la crisi e facendone emergere, come una cartina di tornasole, le tendenze evolutive.
Già dall’inizio del nuovo millennio – e in particolare a partire dalla grande crisi del 2008 – si è andata consolidando l’impressione che la globalizzazione rappresenti non una dissoluzione delle sovranità nazionali, ma al contrario uno spazio conflittuale multipolare in cui emerge come decisiva la compattezza dei grandi Stati/nazione. Ora, lo “stress test” del Coronavirus evidenzia impietosamente un’ulteriore, netta distinzione gerarchica tra gli Stati dotati di poteri decisionali incisivi ed efficaci – in particolare su temi concernenti esigenze primarie di sicurezza – e quelli in cui la struttura politico-istituzionale della società appare sempre più disarticolata ed evanescente.
Nella prima categoria rientra ancora, nonostante tutto, la Cina, il cui regime è stato messo a dura prova dell’esplosione del contagio, e ha reagito con misure costrittive di massa drastiche e talvolta brutali, ma, ad oggi, pare essere riuscito almeno a tamponare con qualche efficacia la diffusione del virus, mantenendo il controllo del suo territorio, e di avere chiara la posta in gioco per i propri interessi nazionali. Tra gli Stati che attualmente sembrano in grado di affrontare efficacemente la minaccia pandemica, poi, emergono ad oggi sicuramente gli Stati Uniti, la Russia, la Gran Bretagna, Israele, che uniscono la mancanza di allarmismo ad un sistema di controllo dei confini pienamente funzionante. Un approccio che ha finora impedito la formazione di significativi focolai di contagio al loro interno, nonostante il volume di scambi e circolazione di persone, e che si accoppia comunque ad una organizzazione sanitaria ed amministrativa in grado di gestire potenzialmente anche fenomeni epidemici più vasti.
Decisamente più debole e fragile, rispetto alla sfida, si è dimostrata l’Europa, e più in particolare appaiono tali i suoi Stati maggiori, a partire da Germania e la Francia. Stati che hanno tenuto sulla diffusione del Covid-19 una linea ambivalente, non trasparente, apparsa ispirata soprattutto dalla congiunzione tra ideologia globalista e preoccupazione per l’economia nazionale in caso di diffusione delle notizie sull’epidemia, piuttosto che da quella per la salute dei propri cittadini. In quanto all’Unione europea, a dispetto della tanto decantata sua essenzialità nelle questioni cruciali che superano i limiti dei confini nazionali, essa è apparsa in questa emergenza assolutamente evanescente: incapace di dare direttive affidabili e condivisibili dagli Stati membri, così come di coordinarne gli interventi. Cementando, così, la diffidenza e l’ostilità di tanti cittadini del Vecchio Continente verso istituzioni di cui essi colgono ormai quasi soltanto gli aspetti negativi.
Infine, la cartina di tornasole del virus Covid-19 ha fatto venire alla luce paesi che, a fronte dell’emergenza, si rivelano “vasi di coccio”, non si mostrano in grado di mantenere il controllo della situazione, danno segni di disarticolazione e persino di collasso. Lasciando per ora da parte il grande punto interrogativo dell’Africa – per la quale però giustamente si temono moltissimo possibili effetti dirompenti del contagio – è già venuto alla luce il punto dolente del Vicino Oriente, con l’impennata dell’infezione in Iran e la evidente incapacità del regime islamista di affrontare la situazione.
Ma naturalmente il caso più doloroso – e che ci tocca direttamente – è l’improvvisa, per molti inattesa, escalation del virus in Italia, fino a far diventare il nostro paese addirittura il terzo per ammalati nel mondo e a provocare la chiusura di frontiere e accessi dall’Italia in e da molti Stati esteri.
Il virus ha, insomma, impietosamente additato a tutto il mondo l’Italia come “malato d’Europa”, e “vaso di coccio” per eccellenza dell’Occidente. Questo triste primato non è casuale, ma si connette a una deriva imboccata dalla politica e dalle istituzioni italiane negli ultimi decenni: da un lato l’erosione dei poteri di governo dovuta alla frammentzione politica, alla crisi dei partiti, all’invadenza della magistratura e della giurisdizione; dall’altro, la sostanziale abdicazione all’idea stessa della sovranità e degli interessi nazionali da parte della classe politica e delle classi dirigenti, in favore di un’affidamento cieco all’Ue e alle istituzioni sovranazionali.
La congiunzione tra queste due linee di tendenza ha favorito la disgregazione di ciò che rimaneva dell’apparato statuale/istituzionale e il naufragio delle nostre istituzioni in un caos anarcoide e corporativo, esposto con ben pochi filtri all’influenza di ogni interesse organizzato, dai potentati economici alle tecno-burocrazie di Bruxelles fino a varie cancellerie estere.
E’ a tale disgregazione che va riportata la drammatica incapacità dell’attuale governo – il quale, nella sua fragilità e mancata rispondenza alla sovranità popolare, ne è una delle più eloquenti espressioni – di attuare misure di elementare prevenzione e prudenza per evitare il diffondersi del morbo, come quelle di controllare semplicemente, nei mesi scorsi, tutti i passeggeri provenienti dalla Cina entro i confini, per perdersi invece in retoriche perorazioni contro inesistenti “discriminazioni” della comunità cinese in Italia. Così come va riportata la schizofrenia delle successive direttive fornite dall’esecutivo, oscillanti tra draconiane restrizioni in alcune zone e sciatto lassismo in altre, e condito da meschini tentativi di scaricabarile da parte del Presidente del Consiglio, che hanno messo in ulteriore rilievo il suo essere del tutto “unfit” alla dignità del ruolo che oggi occupa.
L’insieme di queste drammatiche inadeguatezze ha dato l’impressione, soprattutto all’estero, di un paese letteralmente allo sbando, creando danni enormi, e non sappiamo quanto riparabili, alla residua credibilità delle nostre istituzioni.
In questo quadro avvilente e preoccupante, l’unica eccezione positiva è costituita dalle Regioni. Che, a prescindere dall’orientamento politico dei loro governatori, si sono mostrate in larga parte molto più responsabili e affidabili del governo centrale nella gestione della crisi: più capaci sia di venire incontro alle esigenze di sicurezza dei loro amministrati che di comprendere le loro preoccupazioni per i danni apportati dall’epidemia alla vita sociale ed economica.