“Il Coronavirus non ci ha bloccati, anzi forse ci ha reso più competitivi”
29 Febbraio 2020
E’ venerdì 21 Febbraio, ore 14. Sono a pranzo con alcuni colleghi.
Stiamo, come sempre, parlando di lavoro, anche durante la pausa. D’altronde, siamo bresciani…lavorare per noi è come vivere.
Mi distraggo, prendo il telefono per guardare la Borsa…la prima pagina del Sole24ore però non parla di borsa, ma del primo caso di Coronavirus in Italia. A Caldogno, nel Lodigiano. A 68 km da qui.
Il primo pensiero istintivamente riguarda i miei affetti e, ammetto, non senza una certa vergogna, me stesso. Conosco qualcuno nel Lodigiano? Potrei essere entrato in contatto con persone provenienti da quell’’area? Viaggio molto per lavoro e la preoccupazione più grande è nei confronti dei miei bambini e di mia moglie. Tengo gli occhi fissi sullo schermo del telefono, clicco sul tasto refresh almeno un milione di volte e in meno di qualche minuto i casi riportati sono 6… Capisco che la situazione è seria.
Il secondo pensiero va all’azienda, ai nostri collaboratori: avremo dei danni economici? E i mei clienti e i fornitori cosa faranno? Come faremo a garantire la sicurezza e la salute di tutti?
Come spesso mi accade in situazioni di grande pressione la mia mente comincia a produrre scenari, un’attività frenetica nel tentativo di prevedere il futuro per attrezzare di conseguenza il presente. D’altronde questo è quello che facciamo ogni giorno.
Passo all’azione: annullo immediatamente un viaggio imminente per me e un collaboratore, scrivo una mail ai responsabili delle filiali estere e ai commerciali pregandoli di annullare gli appuntamenti, i viaggi della settimana successiva e di attendere indicazioni aziendali a riguardo.
Convoco per il pomeriggio un comitato di gestione per decidere come muoverci: stabiliamo procedure straordinarie di sicurezza e d’ igiene, ordiniamo mascherine, termometri elettronici e gel igienizzante in quantità, chiudiamo l’azienda agli esterni, organizziamo lo smart-working con i supporti tecnologici necessari, diamo il via a un progetto di back up produttivo e di approvvigionamento.
Mi colpisce l’energia e la creatività che le persone mettono a disposizione, ma ciò che mi colpisce ancora di più è l’armonia che si crea nel gruppo.
L’emergenza è grande, la paura paralizza, siamo frustrati dai mille problemi e impedimenti, ma tutti sono concentrati e lavorano sodo, gomito a gomito e man mano che ci confrontiamo l’energia si moltiplica, i problemi diventano opportunità, i limiti nuove soluzioni. Ci diamo regole stringenti, creiamo procedure, risolviamo intoppi, troviamo soluzioni tecniche ed organizzative alternative, districandoci in una situazione così grave.
Nel lavorare insieme ai miei colleghi ritrovo quel forte sentimento di appartenenza proprio delle comunità, direi addirittura un senso di destino comune: dobbiamo salvaguardare la salute dei colleghi di cui abbiamo la responsabilità e contemporaneamente garantire la continuità della nostra attività. Comincio addirittura a pensare che questo sforzo collettivo sia un’occasione di crescita per noi, per la nostra abilità gestionale, ma soprattutto per il nostro sviluppo come persone.
Ho provato sulla mia pelle quanto potente può essere l’intento quando elevato a traguardo collettivo. In questo ritrovo il vero significato del fare impresa: mettere lo sviluppo umano al centro dell’attività.
E nella tristezza, nella paura, ritrovo speranza e forza.