Il Cuoco Nero ha (quasi) tutti gli ingredienti per una cucina di successo

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Il Cuoco Nero ha (quasi) tutti gli ingredienti per una cucina di successo

08 Marzo 2009

Il locale ha aperto i battenti pochi giorni prima del Natale dello scorso anno, con una certa enfasi mondana. L’ideatore del ristorante, Maurizio Santin – dalla cui divisa di lavoro nera il posto prende spiritosamente il nome – è uno chef quarantenne ma già alquanto titolato e questa circostanza ha suscitato molte aspettative tra i frequentatori della ristorazione romana, non ricca di significative eccellenze e sempre in attesa di qualche svolta di entusiasmo.  Il locale intende essere di  qualche pretesa e, a quel che pare, la clientela non manca. Sembrerebbero pertanto sussistere le condizioni per sviluppare un’iniziativa di successo, sebbene la brevità del percorso compiuto non consenta ancora di formulare un giudizio meditato. Occorrerà, quindi, ritornare ad occuparsi tra un annetto del locale stesso e in tale  prospettiva saranno assai utili le opinioni degli amici  lettori che vorranno provarlo. Per il momento mi limiterò a  svolgere una ricognizione della situazione riscontrata, muovendo dalle caratteristiche strutturali del ristorante, fattore che, francamente, mi desta qualche perplessità.

Il Cuoco nero prospetta, con una gran quantità di vetrine, sulle vie Tirso ( dove, al numero 14, vi è – circostanza degnissima di nota  in una città difficile come Roma – un parcheggio custodito gratuito per i clienti ) e Metauro. Su quest’ ultima è dotato altresì di una grande – e vistosa – struttura esterna, che nei mesi estivi amplierà significativamente la capacità di accoglienza. Le vetrine sono prive di tende e l’intimità degli avventori è protetta solo dalle decorazioni presenti sui vetri. L’interno,  ampio e spazioso, dotato, all’ingresso, di un monumentale bancone  (il posto opera anche come wine bar e offre aperitivi secondo modalità assai più milanesi o torinesi che locali), forma una grande “L”, al termine del cui braccio più corto, vi è un’area, a dire il vero insufficientemente illuminata, arredata con tavoli tipo osteria, finto antichi, di rara scomodità per le gambe degli avventori, ove essi non siano particolarmente brevilinei. In effetti i tavolini in generale e il loro apparecchiamento paiono una delle componenti meno felici del locale. A parte quelli in precedenza ricordati, la restante parte degli arredi è rappresentata da tavoli bianchi, per lo più di proporzioni lillipuziane, che, se  consentono di ottimizzare il numero dei coperti, non risultano certo accoglienti per gli ospiti, costretti veramente a misurare lo spazio a loro disposizione. Anche l’allestimento dei tavoli meriterebbe maggiore attenzione, giacchè le eleganti posate di design, al pari del piacevole vasellame, sono malauguratamente appoggiati non già su ordinarie tovaglie, bensì su tristi strisce di stoffa, poste al centro dei tavoli stessi. L’accoglienza è buona ed il servizio sempre cortese, con qualche cameriera di grazia e garbo davvero non consuete.

Venendo all’offerta gastronomica, va rilevato come il menù ( che contempla anche un percorso degustazione – quotato 60 euro, vini esclusi – ) non sia affollato – cinque proposte per ogni portata, con l’esclusione dei più numerosi dolci  -, ma preveda piatti assai piacevoli, confezionati con materie prime scelte con cura, in linea con le aspettative di questa rubrica. Tra gli antipasti, sono particolarmente interessanti  la zuppetta di pesce misto ai sapori tailandesi e le triglie scottate con lardo di colonnata, agretti, salsa di arancio, maggiorana e olive taggiasche, ma una lode particolare merita anche il tradizionalissimo foie gras fresco, ben accompagnato da una composta di barbabietole rosse insaporita con senape. Tra i primi piatti,  brilla, per delicatezza, la crema di zucca, in cui affogare dei ravioli croccanti profumati all’amaretto, ma una segnalazione specifica meritano le linguine aglio, olio e peperoncino con una colatura di alici e l’aggiunta di un’alice croccante e gli squisiti cavatelli “brodettati” ai crostacei e frutti di mare ( in cui, va detto – ma, certamente, è soltanto un incidente di percorso di carattere straordinario – è capitato di trovare residui di sabbia, utili, com’è noto, allo smeriglio della dentatura, ma un po’ meno gradevoli per la lingua ). Tra i secondi piatti, pur nella validità della tagliata di manzo con salsa bordolese  profumata al pepe di Sechuan, o  del maialino da latte “iberico” a  lunga cottura e riduzione di mirto, paiono perfettamente riusciti il piatto di pesce bianco appoggiato su una base di carciofi, con l’aggiunta di ottima maionese al sapore di mare, e il baccalà, assai ghiottamente arricchito  della sua stessa trippa.

Nella scelta dei dolci – vera specialità della casa –  è arduo riconoscere delle priorità, sebbene i cultori del cioccolato – al cui novero non appartengo-  magnifichino il cubo di cioccolato al latte, nocciole pralinate e salsa speziata di cioccolato e l’operà ai tre cioccolati …2009.  Personalmente preferisco il cannolo aperto, la crema cotta profumata alla vaniglia leggermente caramellata o l’aspic di mandarini, crema di formaggio fresco, sorbetto di arancia e liquirizia.  Sebbene non espressamente previsto in menù, è possibile concludere il pasto con una buona scelta di formaggi.  Gradevoli i pani fatti in casa e meritevole di menzione il grissino al nero di seppia.

La cantina è ricca di offerte e non manca anche una carta delle birre. Avuto riguardo ai vini,  nazionali e non,   i ricarichi di molte bottiglie risultano spesso davvero contenuti, sebbene il locale si collochi in una fascia di costo medio-alta.  Il rapporto prezzo/qualità non mi sembra particolarmente positivo, in ragione delle discrasie ambientali in precedenza lamentate.

Il cuoco nero – Roma, Via Metauro n. 33 – telefono 06/85300692 – chiuso la domenica e sabato a pranzo