Il declino Usa in Europa dell’est è figlio dell’incertezza di Obama

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Il declino Usa in Europa dell’est è figlio dell’incertezza di Obama

13 Luglio 2011

Anche in politica internazionale non tutti i mali vengono per nuocere. Quest’affermazione in qualche modo trova la sua ragione d’essere non appena si analizza la nuova situazione politica dei paesi dell’est Europa, dopo il sensibile mutamento della politica estera americana nei loro confronti e dopo un altrettanto sensibile affievolimento generale del sostegno politico-militare statunitense verso i suoi vecchi e nuovi alleati.

L’ormai risaputa "dottrina Obama" che ha condotto gli Usa verso un isolazionismo parziale, ha visibilmente mutato la situazione politica in Europa. Senza leadership americana, che per decenni ha guidato le basi del "fare politica" in Europa e che si è sempre basata innanzitutto sulla difesa di valori democratici condivisi, la politica europea e il suo orientamento politico in generale hanno subito una temporanea alterazione.

La perdita di tale matrice, la quale da sempre fungeva da una linea guida nelle relazioni internazionali, ha spinto diversi paesi del vecchio continente a sperimentare e seguire strade diverse per poter raggiungere i propri obbiettivi politici. Ne sia un palese esempio il fatto che alcuni paesi dell’Europa occidentale hanno preferito cambiare le basi della gestione della politica estera, passando da un approccio classico, basato sui valori democratici e liberali, preferendogli una politica basata esclusivamente (o quasi) su interessi economici.

I paesi est europei, invece, in assenza di impegni americani concreti nei loro confronti, hanno dovuto sviluppare e reinventare un nuovo sistema che fosse in grado di garantire loro sicurezza, indipendenza e sopravvivenza politico-economica. Analizzando le ripercussioni del suddetto processo sui vari blocchi del continente europeo, le maggiori difficoltà sono state riscontrate proprio nei paesi dell’Europa orientale, i quali, dopo il crollo del Patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica, sono diventati eccessivamente "Washington-dipendenti", soprattutto in politica estera e in alcuni aspetti vitali della politica interna.

Dal momento in cui, a partire da 1992-93, paesi come la Polonia, l’Ungheria, la Rep. Ceca, la Lettonia, la Lituania, l’Estonia (e gli altri della regione orientale e baltica) sono diventati degli alleati privilegiati degli Usa, essi hanno sempre potuto contare su un certo "assistenzialismo" americano tanto nei confronti della sicurezza nazionale quanto in politica estera in generale. La loro democratizzazione e il processo di trasformazione liberale che iniziò negli anni ’90 fu la ragione principale di tale alleanza. D’altronde Washington ha sempre incoraggiato e aiutato ogni tipo di processo di democratizzazione in ogni parte del mondo, principio fondante di tale nazione.

Dopo le prime difficoltà e l’iniziale confusione, il blocco dei nuovi paesi membri dell’Unione Europea hanno ritrovato un nuovo equilibrio nell’area della politica estera e delle relazioni internazionali. Oggi, molti di loro (la Polonia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria e altri paesi della regione) hanno finito col compiere un rimodellamento nel solco di questo nuovo corso politico. Alcuni di questi paesi hanno addirittura creato un’alleanza militare (il recente accordo militare tra i paesi di Visegrad) all’interno della Nato per migliorare la propria sicurezza da qualsiasi possibile minaccia esterna.

Alla luce di ciò, il parziale ritiro americano dal vecchio continente, ha creato nuove tendenze e nuove alleanze interne, in grado di sopravvivere allo stravolgimento dei vecchi equilibri. Benchè la politica estera di Barack Obama sia stata evidentemente poco chiara, indecisa e tendenzialmente isolazionista, alcuni analisti politici americani sono arrivati a suggerire che l’assenza statunitense dalla politica europea potrebbe anche essere spiegata come un naturale compimento del ciclo della sua supremazia. Storicamente, questa é una realtà che dai tempi dell’Impero Romano affligge le potenze egemoni di tutto il mondo, segnando generalmente l’inizio del loro declino.

Basta analizzare i numeri per constatare il reale potenziale statunitense per giungere subito alla conclusione opposta. Nonostante la recente crisi economica e il rapido avanzamento di alcuni paesi in via di sviluppo, gli Stati Uniti rimangono l’unica superpotenza mondiale. Di conseguenza, il recente "declino" politico degli Usa sulla scena internazionale è da attribuire, non tanto al decadimento delle capacità reali della nazione americana, quanto alle scelte concrete dell’attuale leadership presidenziale.