Il decreto nucleare va migliorato, non cestinato per posizioni preconcette

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Il decreto nucleare va migliorato, non cestinato per posizioni preconcette

29 Gennaio 2010

Il parere negativo della Conferenza delle Regioni riflette un preconcetto ideologico che si intreccia con il più mondano scontro interistituzionale, un braccio di ferro tra stato e regioni che vede come terreno di scontro l’energia, settore infelicemente posato nel limbo delle materie a competenza concorrente (e contesa) dalla riforma federale del 2001. Le commissioni parlamentari, che attendevano il parere della Conferenza per accelerare i tempi, non devono distrarsi dal loro compito, che consiste nel correggere un testo che presenta ancora ampi margini di miglioramento.

Il ritorno al nucleare è da considerarsi un’opportunità per il sistema, una promessa per l’ambiente in termini di riduzione delle emissioni inquinanti e uno spazio riconquistato alla libera iniziativa economica. Proprio per questo, il decreto che segna il ritorno al nucleare deve essere ripulito delle ultime macchie di dirigismo che si annidano tra i suoi commi.

Una prima forma di dirigismo si rileva nelle disposizioni che prevedono, entro tre mesi dall’entrata in vigore del decreto, l’adozione della strategia nucleare del Governo. Con questa, la politica dovrebbe avanzare la pretesa di orientare i piani di investimento dei privati e il lavoro tecnico di predisposizione dei parametri per l’individuazione dei siti nucleari da parte dell’Agenzia per la sicurezza nucleare. Alle imprese, infatti, è richiesta la trasmissione al governo di propri programmi di intervento coerenti con le linee e gli obiettivi della strategia nucleare del governo. L’Agenzia, invece, è tenuta ad attendere l’adozione del medesimo documento programmatico prima di poter predisporre i parametri tecnici che serviranno a stabilire quali aree possono ospitare in condizioni di sicurezza gli impianti nucleari.

L’impostazione non è corretta, poiché la realizzazione di nuovi impianti dovrebbe rispondere alle esigenze della domanda e a considerazioni di merito economico svolte autonomamente dalle imprese private. Il dialogo tra Governo e operatori privati dovrebbe piuttosto precedere l’elaborazione della strategia, per dare alla politica gli strumenti necessari a tracciare uno scenario credibile degli sviluppi del settore nucleare. L’Agenzia per la sicurezza nucleare, dal canto suo, dovrebbe essere da subito posta nella condizione di definire i parametri utili ad eleggere le aree in cui gli impianti potranno essere realizzati ed eserciti in modo sicuro e sostenibile dal punto di vista ambientale sulla base di constatazioni di carattere tecnico e non in considerazione di obiettivi politici. Allegandola alla Strategia nucleare e sottoponendo ad un doppio vaglio del Ministero dell’ambiente come ora è previsto non si fa gran dono all’autonomia tecnica dell’autorità preposta alla tutela della sicurezza delle persone.

Un altro punto critico riguarda la durata indefinibile dell’iter: la frequenza con cui regioni ed enti locali sono chiamati a pronunciarsi (prima sulla certificazione del sito, poi in sede di Valutazione di impatto ambientale, poi sull’autorizzazione dell’impianto) non rafforzano il valore della concertazione più di quanto minino la certezza del diritto dell’impresa, esposta al rischio di incontrare nelle fasi finali l’opposizione di un’amministrazione interessata, se necessario anche contraddicendo la volontà espressa precedentemente in altra sede.

Forti perplessità, infine, suscita la costituzione di un monopolio pubblico del decomissioning. Quel che è peggio, è l’assenza di alcun parametro che consenta la previsione degli oneri in capo alle imprese. Variabile, questa, importante come ogni altra componente di costo che serva al mercato per comprendere la convenienza degli investimenti nel nucleare tanto per la singola impresa, quanto per i consumatori e per l’intero sistema paese. Se la definizione di criteri di determinazione dei costi soddisferebbe i livelli minimi essenziali di certezza del diritto, il miglior modo per determinare il giusto corrispettivo per il decommissioning è consentire agli operatori di provvedere da sé allo smantellamento dell’impianto o, in alternativa, avvalersi dell’impresa pubblica sulla base di condizioni contrattuali liberamente stabilite dalle parti.