Il discorso di Medvedev sulla modernizzazione è piaciuto alla Duma
13 Novembre 2009
Nel salone di San Giorgio, il più prestigioso e sontuoso spazio del Cremlino, il presidente russo Dimitri Medvedev ha tenuto il suo annuale discorso sullo stato della nazione di fronte al parlamento. Ma per la prima volta il testo è rimasto segreto fino all’ultimo ed è stato redatto da “ghost-writers” selezionati personalmente da Medvedev, dopo il licenziamento di quelli ereditati da Putin.
Questa scelta conferma la continuità nella strategia di Medvedev per emanciparsi dal suo primo ministro, puntando su un audace programma di modernizzazione della macchina statale e dell’economia. Il senso del discorso presidenziale è quello di istituzionalizzare il disegno politico espresso nella famosa lettera “Russia, avanti!” pubblicata dal presidente all’inizio dello scorso settembre su un quotidiano russo. In quel testo Medvedev si era spinto a criticare aspramente i pilastri della Russia putiniana, dalla “primitiva” economia fondata sull’energia, alla società civile “semi-sovietica” e alla “debole” democrazia.
Il discorso sullo stato della nazione è la traduzione di questa impietosa analisi in un programma legislativo. Ma i toni accesi mal si prestano alle istituzioni. Ecco perché la dimensione pragmatica e moderata, dove ogni parola è soppesata con attenzione, è dominante rispetto a quella critica. La Difesa è un esempio perfetto. Medvedev annuncia dettagliati potenziamenti negli arsenali della Russia, da utilizzare come deterrente contro altri casi come quello del conflitto con la Georgia. E’ un riferimento indiretto alle dispute con l’Ucraina o alla stessa Georgia. Ma subito dopo Medvedev aggiunge che è necessaria un’attiva cooperazione con la Nato.
La stessa logica di mediazione è applicata al Caucaso, dove la Russia è determinata a stroncare il terrorismo “senza compromessi”, mentre è altrettanto pronta a rafforzare la sua assistenza economica alle instabili repubbliche caucasiche. Sono parole che cambiano poco nella politica internazionale di Mosca. Il fulcro della volontà politica di Medvedev, la modernizzazione, ritorna su un piano tecnico, cioè come incremento dell’efficienza del sistema produttivo. Modernizzare vuol dire anche introdurre, nei prossimi cinque anni, la banda larga per internet, le telecomunicazioni di ultima generazione e il digitale terrestre. Molta tecnologia, orizzonte sul lungo periodo, quindi poca politica, cioè scarso rischio di conflitto. Anche il tema delle corporazioni, un vecchio punto fisso di Medvedev prima di diventare presidente, è lasciato in superficie, ripetendo il solito messaggio del loro anacronismo storico.
Ma il passaggio più emblematico di questo discorso presidenziale è quello sull’eredità sovietica. Quell’epoca, insieme a quella Russia, è finita; ora dobbiamo creare una nuova Russia – questo è il messaggio di Medvedev. Insomma: nessuna riabilitazione dell’Urss, ma neppure una condanna esplicita. Così Medvedev prova a separare la Russia dal suo passato per proiettarla in un futuro dove una modernizzazione morbida, senza strappi e senza conflitti, può costruire una nuova identità e un nuovo orgoglio nazionale.
Non è una retromarcia rispetto a “Russia, avanti!”. E’ un compromesso necessario per consentire ai progetti di Medvedev di essere metabolizzati dalla Duma, sotto rigido controllo del partito di Putin, e perciò tradotti in legislazione. Il presidente non può permettersi uno scontro istituzionale con il parlamento, perché è ancora troppo fragile l’autonomia di Medvedev dall’egemonia di Putin. I giornali russi sono rimasti delusi dai toni morbidi di Medvedev – Gazeta, la testata a cui il presidente aveva inviato il testo di “Russia, avanti!”, lo ha giudicato un “deja-vu”. Ma dai sessantatre applausi che hanno interrotto il discorso di Medvedev si evince che il presidente è riuscito a guadagnarsi un inaspettato consenso dei parlamentari. In questo caso, per far avanzare la Russia di Medvedev, più che le parole di sfida contano i voti alla Duma. Per la Russia la modernizzazione può diventare la prima rivoluzione senza sangue.