Il “Domenicale” era un’istituzione culturale prima della svolta laicista

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Il “Domenicale” era un’istituzione culturale prima della svolta laicista

12 Giugno 2011

La serie recente del Domenicale (propriamente Domenica) del Sole24ore, con la sua nuova mediocre (e poco leggibile) veste tipografica, sembra validare la già spiacevole sensazione che il lettore ha di un declino del famoso settimanale di informazione libraria e di cultura. Ma, da tempo, un fattore sicuramente non secondario di tale perdita di significato e utilità risiede, a mio giudizio, nella cancellazione del pluralismo filosofico che caratterizzava la direzione di Armando Torno, ed era garantito in primis dalla assidua collaborazione di Giovanni Reale. Con tutto il rispetto per Massarenti, mi pare che la sua impronta laicista e i suoi gusti filosofici (scientisti) prevalgano, per non dire prevarichino, ormai da anni, nel settimanale senza contrappunto o (vera) compensazione.

Il recente n.23 (5 giugno 2011) si pone al di sotto dello spiacevole per investire la più elementare lealtà intellettuale (di chiunque sia la responsabilità): nella pagina di copertina, con sullo sfondo un incappucciato (magari il membro di una confraternita, ma serve a fare ‘gotico’), campeggia un ambiguo: Inquisizione senza leggende, col sottotitolo: Pico, i Catari e altre persecuzioni. Busi, Ravasi e Firpo raccontano senza pregiudizi la lunga storia della repressione degli eretici. Di cosa si tratta? Del montaggio ad arte di tre recensioni: Giulio Busi scrive della recente edizione dell’Apologia di Giovanni Pico della Mirandola a cura di Paolo E. Fornaciari; Massimo Firpo dà notizia  del certamente “poderoso” Dizionario Storico dell’Inquisizione (impresa patrocinata dalla scuola Normale di Pisa, sotto la direzione di Adriano Prosperi); monsignor Gianfranco Ravasi di un lavoro specialistico (Elena Bonoldi Gattermayer) sui processi del primo Trecento agli ‘ultimi’ Catari. Montaggio ad arte, perché col gioco aggiuntivo dei titoli interni (‘Pico: fede, ragione e .. Inquisizione’, ‘Inquisizione. Tutte le storture voce per voce’), sconfinano nell’immaginario volgare, tradendo i toni relativamente contenuti di Busi o Firpo. In più, titolazione e impaginazione mettono a forza in questo quadro la serena notizia (senza le retoriche della ‘macchina repressiva’) che Ravasi dà dell’azione del celebre e rigoroso inquisitore, il cistercense Jacques Fournier (poi papa Benedetto XII).  

Le ben quattro pagine iniziali collegano sotto una tetra cifra da romanzo d’appendice il non collegabile: i tribunali anticatari del Due-Trecento e le riserve della commissione istituita da Innocenzo VIII (1487) sulle tesi dell’intelligente – anche nell’ammettere i propri errori – e ben protetto Giovanni Pico. Il Mirandolano è autore cui ho dedicato molto dei miei studi giovanili con Eugenio Garin e so di che si tratta; suggerirei, così, anche di smorzare le esagerazioni di Busi: “La storia della cultura occidentale sarebbe stata diversa” e Lutero non avrebbe incendiato l’Europa se le Tesi di Pico fossero state accolte dalla Chiesa; ma via! Di fronte all’aggiornata informazione storiografica del Dizionario Storico il Domenicale suggerisce, in coerenza col resto, un consunto codice  di accostamento (“tutte le storture …”), per riportarla comunque al nero registro dell’immaginario sull’Inquisizione, frutto eminente della controversistica, anzi della libellistica, anticattolica. Il “senza leggende” e il “senza pregiudizi” dei titoli – formule in sé ambigue (leggende nere o leggende ‘bianche’, pregiudizi contro o a favore?) – diventano così elementi di un messaggio di pregiudizio negativo.

Mi rammarico, come si sarà rammaricato monsignor Ravasi, di questa patina stesa a banalizzare testi di vario tono, e questioni complicate. Ma va aggiunta al rammarico una reazione polemica rivolta alla respublica di coloro che leggono, contro l’assuefazione all’abbassamento del livello della discussione colta, di cui il neo-anticlericalismo di questi anni è solo un aspetto. Certo se non si fosse affermata la presunzione di un sapere senza problemi, e su povere basi, neppure saremmo regrediti in tema di storia del Cristianesimo, come avviene nella saggistica o nel cinema, talora negli studi, a livelli ottocenteschi. La responsabilità è solo degli intellettuali, degli studiosi, degli accademici, come tali; non si vengano ad invocare alibi risibili.