Il doppio binario di D’Alema  su Hamas fa danni diplomatici

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Il doppio binario di D’Alema su Hamas fa danni diplomatici

04 Settembre 2007

Qualche anima buona della Farnesina dovrebbe prendere il coraggio a quattro mani e spiegare finalmente a Massimo D’Alema che non può trattare gli altri come imbecilli. O meglio, che lo può fare – se proprio vuole – nei Ds, sicuramente con i tanti giornalisti italiani sempre a lui proni, ma che in diplomazia questo innanzitutto non sta bene, e poi è controproducente. Qualche altra anima buona dovrebbe anche spiegargli che ha un eccellente consigliera in Marta Dassù e che non sarebbe male se leggesse i suoi appunti e i suoi articoli. L’altro giorno la direttrice dell’Aspen Institute ha infatti pubblicato sul Corriere un eccellente articolo in cui spiegava come Sarkozy abbia intelligentemente riposizionato la Francia in alveo atlantico, facendosi iniziatore di trattative rigidamente sub conditione in Libano con la Siria e addirittura in Iraq, modello di una partnership critica, ma intelligente. Esattamente l’opposto della linea di Massimo D’Alema caratterizzata dalla scarsissima intelligenza e dalla strana idea che si possa coglionare all’infinito il prossimo.

Scarsamente attratto dal mondo, molto impegnato nella spasmodica battaglia per eleggere i segretari regionali del Pd, da Campobasso ad Aosta, assolutamente ignorante del dibattito mondiale sulla politica estera (da due anni sa parlare solo di multilateralismo e unilateralismo, senza accorgersi che sono solo questioni di metodo, non di strategia), D’Alema è più attento ai capricci di Marco Rizzo e di Elettra Deiana che al quadro Mediterraneo.

Ecco quindi, a Telese, perché sentano gli alleati della sinistra radicale, le sue incredibili aperture ad Hamas, seguenti a quelle altrettanto incredibili di Prodi, poi, giunto a Ramallah eccolo far finta di non aver detto quello che ha detto. Siccome però le parole sono pietre, ecco le pietre di D’Alema a Telese: “Per realizzare degli accordi di pace occorre riconciliare tra loro palestinesi. Non si fa un accordo di pace con metà del popolo palestinese; o forse si crede che debbano nascere due stati?” Siccome l’italiano è logica, come insegnava Sciascia, D’Alema ha dunque sostenuto  che metà del popolo palestinese sta tuttora con Hamas, ha negato quindi che Hamas si sia impadronita di Gaza con un golpe sanguinoso – tesi di Abu Mazen – tanto che questa piena corrispondenza tra metà del popolo palestinese e Hamas – questo è il nucleo demenzial-stalinista della sua analisi – obbliga a una apertura nei confronti dell’organizzazione terrorista. E’ escluso da questo schema,  il dato di fatto che il popolo palestinese non è da riconciliare, ma che è stato violentemente ferito e lacerato da una iniziativa jihadista da parte di una Hamas che proprio mentre D’Alema esprimeva questa sue meccanicistiche analisi, sparava sui militanti di al Fatah che avevano osato pregare in pubblico a Gaza, ne uccideva uno e faceva emettere dai suoi imam una fatwà in cui si giudica che “pregare in pubblico non è islamico”.

Il senso di presa di distanze da Abu Mazen e di sponda piena a Hamas di queste parole di D’Alema è stato tanto chiaro e inequivocabile che il portavoce di Hamas Sami Abu Zuhri, nell’arco due ore le ha ufficialmente salutate con metaforici colpi di cannone a salve: “Queste dichiarazioni di Massimo D’Alema confermano che sta aumentando la consapevolezza internazionale riguardo alla politica americana di assediare Hamas, una politica che appoggia una parte palestinese a scapito dell’altra. D’Alema conferma che qualsiasi processo nella regione che escluda  Hamas, sarà un processo fallito. Queste sue dichiarazioni dimostrano che la divisione fra coloro che sostengono le esigenze dell’assedio politico sono aumentate, che l’assedio politico contro Hamas sta diminuendo, e invece aumentano le parti internazionali che vogliono dialogare con noi. Le parole del ministro Massimo D’Alema “sono anche un messaggio al leader dell’Autorità palestinese che il suo boicottaggio contro Hamas è fallito”. Parole chiare, seguite alle irresponsabili parole altrettanto chiare di D’Alema.

Arrivato a Ramallah, D’Alema ha però fatto finta di niente e ai giornalisti che gli chiedevano conto di questo ennesimo pasticciaccio, di questa ennesima compromissione dell’Italia con Hamas, di questo ennesimo schiaffo ad Abu Mazen e alla sua politica, ha risposto con le tecnica del “Dove vai? Porto pesci”. In sostanza ha detto che era andato a trovare Abu Mazen e non Hamas, e che voleva tanto, tanto bene ad Abu Mazen. Punto.

Convinto così di avere coglionato al solito pubblico e critica, si è comunque dovuto beccare una durissima reprimenda del premier palestinese al Fayyed che contemporaneamente dettava a Repubblica una durissima intervista contro le aperture italiane ad Hamas che smontava, punto per punto la sua “analisi”. Sconfortante, con il di più della noia di un aspirante leader politico che arrivato alle soglie della terza età, ancora non è in grado di liberarsi del vizietto giovanile di Giovane Pioniere, ipocrita cultore del “doppio binario”: una verità per il popolo, l’altra, quella vera, per il Partito. Una noia.