Il “doppio standard” di Berlino verso la Libia e l’Iran

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Il “doppio standard” di Berlino verso la Libia e l’Iran

08 Aprile 2011

L’intervento militare in Libia ha riproposto ancora una volta la questione relativa alle relazioni economiche degli stati occidentali con i regimi nel mondo arabo. Per lungo tempo, infatti, gran parte dei leader occidentali hanno fatto affari con Gheddafi e Mubarak. E la tanto discussa astensione della Germania alla risoluzione dell’ONU sulla no-fly zone in Libia, in realtà, non nasce da ragioni ideali quanto da interessi economici o quantomeno di mantenimento di buoni rapporti con altri stati (soprattutto Cina e Russia) che si erano a loro volta astenuti nel Consiglio di sicurezza dell’ONU.

Ora, è proprio di qualche giorno fa la notizia della crescita di fatturato in Iran di una delle più importanti aziende tedesche: la Siemens. Naturalmente tra l’astensione della Germania alla guerra in Libia ed il fatturato della Siemens in Iran, non c’è alcuna relazione diretta. E’ però opportuna una riflessione sui rapporti che la Germania ed una delle più grosse aziende tedesche intrattengono con un l’Iran. Ma andiamo con ordine. La Siemens fa da lungo tempo buoni affari in Iran. Solo nel 2006 il fatturato superava i 600.000.000 di euro. Ma tutto cambia, almeno in teoria, all’inizio del 2010.

Nel mese di gennaio dello scorso anno la Germania si impegnava a porre sanzioni internazionali più dure contro l’Iran, per contrastare il programma nucleare di Teheran. E così, anche la grande azienda tedesca, la Siemens appunto, ha dovuto impegnarsi a non firmare nuovi contratti con clienti iraniani almeno fintanto che dura il regime di sanzioni. Nonostante la Siemens abbia mantenuto la promessa, i contratti già esistenti in Iran hanno evidenziato come gli sforzi internazionali per frenare le ambizioni nucleari di Teheran hanno avuto un impatto limitato. Come riportato, infatti, da un interessante articolo del The Wall Street Journal del 5 aprile scorso, nell’ultimo anno fiscale conclusosi il 30 settembre, le entrate della Siemens in Iran hanno registrato un aumento del 20 per cento, ovvero circa 680.000.000 di euro (pari a circa 967 milioni dollari), rispetto all’anno precedente e di oltre il 50 per cento rispetto a due anni fa. E’ il miglior fatturato di sempre della Siemens in Iran. Il fatturato di quest’anno, invece, non è ancora chiaro e bisognerà dunque aspettare ancora qualche mese.

Sia ben chiaro, la Siemens non sembra aver violato in alcun modo le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Resta, tuttavia, qualche dubbio. Del resto proprio nel gennaio di quest’anno un articolo del quotidiano tedesco Die Welt riportava un caso venuto fuori dalle rivelazioni di Wikileaks. La Siemens, stando a quanto si legge nei documenti, avrebbe distribuito 111 computers in Iran tramite la Cina eludendo in questo modo le sanzioni. A ricevere i computers sarebbe stata la Kalaye Electric, un’azienda che secondo il Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti sarebbe impegnata nel programma di armamento nucleare del regime iraniano. La Siemens si è subito difesa affermando di non sapere nulla del trasferimento della merce dalla Cina all’Iran. Nel frattempo i computers, in un primo momento bloccati a Dubai, sono poi tornati in Germania. Il fatto, come è facilmente prevedibile, non è naturalmente piaciuto ai diplomatici degli Stati Uniti, che non si sono lasciati convincere facilmente dai tedeschi. Il rischio per la Siemens è ora di indebolirsi nel loro principale mercato che è proprio quello americano. Come finirà questa storia è difficile dirlo.

Due cose sono, però, evidenti. Innanzitutto la difficoltà di rendere efficaci le sanzioni internazionali. E poi la lampante contraddizione del Governo tedesco, che si è astenuto ufficialmente dalla missione libica per tre motivi: per l’imprevedibilità delle conseguenze nello scacchiere geo-politico nordafricano; perchè non si può intervenire ovunque nel mondo l’opposizione è oppressa; ed ancora perchè, in questi casi, la strada maestra è rappresentata dalle sanzioni e dall’isolamento internazionali. D’altra parte, però, lo stesso Governo tedesco non sembra esercitare un controllo efficace sugli affari che le grosse aziende tedesche hanno con il regime iraniano sul quale pendono, ironia della sorte, sanzioni ed isolamento internazionali.