Il Dpef “della svolta” porta i conti al precipizio

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Il Dpef “della svolta” porta i conti al precipizio

30 Giugno 2007

Il Governo Prodi, reduce da una serie di brutte figure (non ultime quella sulla non-gara Alitalia), si è congratulato con sé stesso per avere presentato “un Dpef di svolta” per avere predisposto il documento entro, anzi, prima della scadenza richiesta per legge (30 giugno). E’ un modo per tirare su il morale delle truppe in giornate in cui il Professore pare traballante come non  mai ed  in cui il disorientamento degli elettori è stato aggravato dalla discesa il campo del sindaco di Roma Walter Veltroni? Difficile dare un risposta senza avere letto il testo integrale del documento ed essersi potuti farei un’idea della qualità e consistenza.

L’unica versione disponibile è la “sintesi” che è stata messa online unitamente al comunicato del Consiglio dei Ministri ed ad alcune note esplicative a carattere narrativo. Tra qualche giorno, si spera, si disporrà del testo integrale negli atti parlamentari, nonché del consueto fascicoletto , con copertina bianca e verde, del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Per ora accontentiamoci del “pillolame” in onda dalla sera del 28 giugno: 26 diapositive su sfondo blu (con graziosi palloncini bianchi) per spiegare cosa è il Dpef, a che serve e quali sono le priorità di questa edizione. Il power point , quindi, è entrato in Consiglio dei Ministri. E soltanto 26 diapositive di power point, con qualche nota esplicativa, ne sono uscite (almeno per ora). Il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Tomaso Padoa.Schioppa (TPS) deve avere dimenticato la battuta che circola da decenni nelle istituzioni europee (da lui tanto a lungo frequentate):if you do not have a point to make, use power point (se non hai un punto da fare utilizza power point). In effetti, la battuta si attaglia perfettamente alle 26 diapositive (ed alla note esplicative) in quanto non dicono nulla sui temi cruciali a cui il Dpef avrebbe dovuto dare risposta: quali sono obiettivi specifici porsi nel riassetto dello stato sociale (in primo luogo previdenza) e quale è la strategia che si intende seguire, in che modo vengano raggiunti i traguardi di crescita economica (un aumento del pil del 2% l’anno) indicati nel documento, quali sono le priorità da perseguire nel breve e medio periodo. E via discorrendo. Non chiariscono questi punti essenziali le 22 “scelte strategiche” elencate (non è chiaro in che ordine) nella diapositiva n. 22.

In effetti, sin dalle prime diapositive TPS mette le mani avanti. Dopo avere citato i grandi “progressi” che sarebbero stati fatti (evitando però di quantizzarli) dal Governo Prodi nel primo anno di mandato ed indicato quanto resta da fare (si presume nei prossimi tre-quattro anni), TPS afferma che il Dpf non è un documento “operativo” ma un testo per a) informare sulla dinamiche economiche e di finanza pubblica; b) fissare “paletti”per la legge finanziaria; c) dare un quadro delle politiche in atto e da realizzare . In breve, quello che in base alla riforma del 1988 (pilotata da Giuliano Amato, allora Vice Presidente del Consiglio e Ministro del Tesoro ed oggi Ministro dell’Interno) dovrebbe essere il più importante documento di politica economica dell’Italia viene declassato ad un’esposizione “non impegnativa” per scolaretti degli istituti secondari superiori oppure quale strumento di marketing per  vendere  un prodotto (la legge finanziaria prossima futura) di cui neanche gli autori sembrano conoscere lineamenti e contenuti. In effetti, si promettono grandi cose (senza specificarne mai gli aspetti quantitativi) ma si tace su come realizzarle. Sotto il profilo della strategia di finanza pubblica, manca (come già del Dpef dell’anno scorso), il capitolo principale: la previdenza. Si sorvola su altri aspetti dello stato sociale (sanità, ammortizzatori). E’ oggettivamente difficile parlare di privatizzazioni dopo la strana vicenda Alitalia. In materia di liberalizzazioni, ci si rimette alla novene del Vescovo di Piacenza (la Diocesi di cui fa parte il Ministro Pierlugi Bersani). Ove ciò non bastasse, gli accordi conclusi alla vigilia del varo del documento comportano aumenti delle spese di parte corrente e le promesse di riduzione dell’Ici e di rimodulazione dell’Ires non prospettano certo un aumento delle entrate – tanto più nel 2008 si saranno in gran parte esauriti gli effetti delle misure tributarie varate nel 2001-2005 alla base dell’incremento del gettito fiscale 2007 ed all’origine pure del presunto (più che vero) “tesoretto”.

La sola indicazione concreta che si ricava, anche dalle 26 diapositive, è che il Governo non è in grado di frenare l’irresistibile ascesa della spesa di parte corrente. Tanto da rendere discutibile non solo il mantenimento dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazione al di sotto del 3% del pil ed il pareggio di bilancio entro il 2010 ma anche l’attuazione del piano di investimenti pubblici; il precedente Governo Prodi – ricordiamolo – ha tagliato di un terzo la spesa in conto capitale per accomodare (nonostante il forte aumento della pressione fiscale) l’aumento della spesa di parte corrente. Tranne che per dare corpo alle enunciazioni del 28 giugno, non ci si affidi alla parapsicologia. Praticata, con solerzia e – pare- anche con profitto, anche da uno dei componenti del Consiglio dei Ministri.