Il fallimento di Veltroni era già tutto scritto nella storia del Pci
19 Febbraio 2009
“Veltroni ha fallito perché non era né carne, né pesce”, questo gentile ringraziamento di Di Pietro è la migliore sintesi possibile della segreteria dell’ex sindaco di Roma. Il calcio dell’asino dell’ex Pm, che deve tutto, assolutamente tutto il suo successo e la sua stessa sopravvivenza politica solo alla scelta veltroniana di imporlo al suo partito quale unico alleato, premia infatti una strategia confusa, incerta, senza senso. Ma non di Veltroni bisogna oggi parlare, ma del male antico del Pci morente, di quel “morto che afferra il vivo” che lo ha distrutto, dopo avere distrutto, Prodi, D’Alema e Occhetto. Veltroni è l’ultimo dei congiurati che eliminarono Alessandro Natta con un cinico tradimento nel 1988 che affoga nello stesso malmostoso clima. Pochi la ricordano, nessuno la cita, ma quella indegna congiura è stata invece fondamentale nella storia successiva della sinistra italiana, e la segna –a morte- tuttora.
I fatti sono semplici, il 30 aprile dell’88, il segretario del Pci, Natta, fu colpito da infarto. Non era un male incurabile, non era un episodio che avrebbe compromesso la sua capacità di continuare a reggere il partito (Natta visse ancora per 13 anni e morì nel 2001), ma era un episodio serio, che lo costrinse ad una lunga degenza. Ma, mentre Natta era costretto nella sua casa di Imperia a riprendere forze, Achille Occhetto, Massimo D’Alema e Walter Veltroni gli fecero, letteralmente, le scarpe. Convinsero –barando- la dirigenza del partito che Natta non era più in grado di esercitare le funzioni di segretario, costruirono alleanze, complottarono e alla fine, ai primi di giugno, lo deposero e fecero eleggere lo stesso Occhetto alla segreteria del Pci. Tutto questo –il fatto è essenziale- nel momento in cui era già iniziata l’agonia del comunismo mondiale, alla vigilia della caduta del Muro, quando la piattaforma togliattiana su cui si reggeva il Pci in Italia era stata ormai sgretolata –anche nelle urne- dal trionfante riformismo craxiano.
Per questo il complotto contro Natta è oggi punto di riferimento indispensabile: perché fu l’inizio di una stagione in cui la dirigenza comunista incarnata dai tre congiurati di allora, evitò con dura determinazione ogni riflessione politica e strategica, non si occupò minimamente di analisi e di programmi, ma buttò tutta sé stessa nella politica intesa come congiura. Naturalmente, quella scelta, ebbe una conseguenza immediata e i tre congiurati furono condannati –ma non da altri se non da sé stessi- a congiurare l’un contro l’altro. Fu così che nel 1994 D’Alema e Veltroni alleati “fecero fuori” Occhetto, fu così che per i 15 anni successivi il fallimento del Pci si risolse in una infinita serie di “forme partito” –l’una più vuota dell’altra- accompagnate da una decina di complotti, questa volta tra Veltroni e D’Alema.
Oggi, è indispensabile ripercorrere tutto questo cammino, perché è l’unico a spiegare quel che accade in queste ore in cui a quel serpente, che finalmente è decapitato, continua a muoversi e ad agitarsi scompostamente. Fallito Veltroni, dopo i fallimenti di Occhetto e D’Alema, il Pd è tutto e solo impegnato in congiure interne di nomenklatura tra boiardi. Già mercoledì, il giorno dopo, dalemiani e veltroniani hanno iniziato a menarsi senza esclusione di colpi –ma sotto il tavolo, come sempre- a proposito della nomina post mortem –di Veltroni- del superveltroniano Giorgio Van Straten (“è un ciclista?”, chiedeva scanzonato un dalemiano ai cronisti in Transatlantico) nel Cda Rai. Oggi e domani, dalemiani e veltroniani ne faranno di tutti i colori, ma sempre nei sotterranei del nazareno, per stabilire se Franceschini debba essere un semplice “reggente” senza poteri se non di rappresentanza o poco più (come vuole D’Alema), o un segretario con pieni poteri (come pretende innanzitutto lo stesso Franceschini). Lunedì le congiure si trasferiranno sul tavolo della lottizzazione Rai dei direttori di testata, poi…
Il serpente ha avvelenato sé stesso. E non se ne esce