Il fardello dell’Europa a due velocità è ricaduto tutto sulle spalle della Merkel
13 Maggio 2010
Mentre il presidente Obama raccontava della sua “seria preoccupazione”, dalle parti di Washington e in quel di Wall Street si percepiva chiaro il timore che le conseguenze della crisi Greca potessero danneggiare anche l’economia Usa. Quello che il presidente non ha detto, però, è che l’economia americana non sarebbe potuta sfuggire alle conseguenze negative di un ulteriore deterioramento dell’euro. Ma almeno adesso esiste una speranza sul fatto che si sia riusciti a evitare ulteriori complicazioni. Dopo giorni e giorni di lavoro, sedici dei ventisette Stati membri dell’UE hanno annunciato nuove contromisure economiche, del valore di 750 miliardi di euro, tese ad arginare questa crisi.
La magnitudine di questo pacchetto anti-crisi potrà magari calmierare i mercati per adesso, ma la minaccia del contagio rimane comunque piuttosto preoccupante. Questo perché i problemi principali che attanagliano molte economie europee non sono ancora scomparsi. Il pacchetto anti-crisi servirà a prendere un po’ di tempo per fare in modo che i funzionari dei vari governi europei possano dedicarsi ai loro problemi e prevenire così la diffusione di ulteriore panico. E servirà anche da apprezzatissima ancora di salvataggio per le economie più vulnerabili come la Spagna e il Portogallo, che stavano quasi per seguire la Grecia nella sua caduta.
Ma quella che è cominciata come una crisi di fiducia, è stata poi seriamente aggravata da una crisi di leadership politica. Infatti molti hanno attribuito il dannoso ritardo con cui questa crisi è stata affrontata, a una mancanza di volontà politica. In realtà, quello che veramente è venuto a mancare, è una guida decisa che possa efficacemente galvanizzare e quindi cavalcare questa volontà politica, per intraprendere azioni decisive. La leadership politica ed economica della Germania, che è la terza economia più grande del mondo e il motore dell’Europa, si rivelerà indispensabile in questo difficile periodo, forse il più difficile nella storia dell’Unione Europea.
Così come tutti gli Stati membri dell’UE non possono evitare di assumersi le loro percentuali di responsabilità, così anche la Germania non può che caricarsi sulle spalle lo storico fardello di guida dell’Europa. Volente o nolente, la leadership europea deve ricadere sulle spalle tedesche. L’abilità di affrontare questa crisi da parte del Cancelliere tedesco Angela Merkel potrebbe delineare non solamente il suo futuro politico, ma anche quello dell’Europa tutta.
Rimpiazzando il Marco tedesco, simbolo della Germania del dopoguerra, con l’euro, questo paese ha virtualmente consacrato la sua leadership all’Europa, dieci anni fa. Un fallimento dell’euro significherebbe pertanto il simultaneo fallimento della Germania e dell’esperimento europeo e quindi, anche quello della maggior parte dell’economia globale. Il recente andamento del mercato ci ha fatto solamente intravedere l’abisso della lungamente temuta recessione a doppio stadio. Le performance della Germania nel corso di questa crisi sono state caratterizzate da un certo trascinamento, da una certo tentennamento e dalla dipendenza da questioni di politica interna anche a discapito di realtà internazionali potenzialmente preoccupanti.
Il fatto che la maggior parte dei tedeschi si dichiari contro gli aiuti dalla Grecia non può giustificare ulteriori ritardi o esitazioni, soprattutto se si considerano le implicazioni di più ampia portata per la stabilità globale. Per esempio, le banche tedesche e francesi sono molto esposte alla crisi greca. Quindi Berlino, aiutando la Grecia, da una mano anche ai suoi istituti di credito. Gli interessi di politica interna della Germania, dell’Europa e dell’economia internazionale in generale sono largamente interdipendenti. Nessuno può sfuggire alle conseguenze di questa interconnettività. Il coraggio di propagandare questo messaggio e colmare il divario di incomprensioni è ciò che distingue gli uomini di Stato dai politici.
Nel dare il suo appoggio al piano di salvataggio Greco, la Merkel ha giustamente detto, “si tratta niente di meno che del futuro dell’Europa e di quello della Germania in Europa”. Peccato che non abbia dato ascolto prima alle sue parole. Nel corso degli anni, la Merkel si è dimostrata un maestro di tattica, surclassando i rivali del suo stesso partito, della coalizione e anche dell’opposizione. La sua abilità di rimanere al di sopra della mischia, operare efficacemente da dietro le quinte e mantenere un’immagine umile non è certo una cosa da poco. Ma occuparsi responsabilmente dell’attuale crisi non è solo una questione di politica interna. Per la Merkel adesso è arrivato il momento di dimostrare quanto vale la sua scienza politica.
Fin’ora, infatti, il Cancelliere tedesco ha risposto alla maggior parte dei problemi quasi sempre reagendo, per necessità. Ora bisogna assumere l’iniziativa e un ruolo più attivo sia in campo domestico sia internazionale, tramite parole forti e azioni sostanziali. Durante la crisi, è stata l’incertezza dei mercati a determinare il corso degli eventi. L’Europa si è messa a correre contro il tempo, e quasi tutti i funzionari pubblici hanno agito come se il tempo fosse dalla loro parte. Ma in realtà, in questa gara, il processo politico rimaneva quasi sempre distaccato, dietro la curva, mentre invece le realtà economiche si muovevano a velocità sempre maggiore. L’attuale crisi potrebbe sfociare sia in una maggiore frammentazione sia in una maggiore integrazione dell’Europa, almeno tra un preciso nucleo di paesi.
Ecco perché i vari funzionari pubblici europei dovrebbero evitare di darsi pacche sulle spalle e di essere compiacenti fra di loro. Non ci si può permettere che questa crisi di fiducia si trasformi in una crisi di eccessiva convinzione dei propri mezzi. L’idea secondo la quale “è meglio agire tardi che mai” non si può applicare in questo contesto. Sono già stati fatti troppi danni considerevoli, non solo di tipo economico ma anche di tipo politico e diplomatico. Per esempio, il fatto che il Fondo Monetario Internazionale abbia contribuito agli aiuti economici mette a repentaglio la stessa credibilità europea.
Oltre tutto, il rischio di contagio è ancora dietro l’angolo. Se si fosse agito prima, i costi sarebbero stati più bassi. Il piano per la Grecia da 110 miliardi di euro ha già un costo enorme, specialmente considerando che ammonta a circa il 3% dell’economia locale europea. Ma il costo per aiutare altre, più grandi economie, sarebbe addirittura sbalorditivo. Per questo, le drastiche riforme economiche proposte per l’attuale crisi greca dovranno essere accompagnate da una trasformazione sociale e politica, specialmente nel bacino mediterraneo dell’Europa. Questa trasformazione dovrà a sua volta evolvere in un cambiamento di abitudini e stile di vita.
Ma soprattutto, c’è bisogno di un profondo rinnovamento delle relazioni tra governi e cittadini. I giorni dei prepensionamenti, dei benefit generosi, dei gravosi deficit e della crescita anemica dovranno essere rimpiazzati da un’era di maggiore produttività e competitività. Gli attuali livelli di corruzione non sono più economicamente sostenibili. Bisognerà passare dalla cultura della protezione politica a quella della trasparenza e della responsabilizzazione. Un fallimento nell’implementazione di questi cambiamenti farà apparire nel lungo periodo le riforme tecniche come mere operazioni cosmetiche, e porterà poi a un vizioso ciclo economico negativo.
Marco Vicenzino, ex-vice direttore dell’International Institute for Strategic Studies-U.S., è ora a capo del Global Strategy Project. Traduzione Andrea Holzer.
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