Il fascista, il comunista e l’avventuriero. Ritratti di scrittori “maudits”
13 Marzo 2009
Si può essere tanto diversi da sembrare fratelli? La domanda, sulle prime stravagante, non lo è affatto. Tali appaiono infatti a Maurizio Serra, diplomatico (direttore fino a pochi mesi fa dell’Istituto Diplomatico del Ministero degli Esteri), storico e docente di relazioni internazionali, Pierre Drieu
Fratelli, dunque, perché vincolati da un amore febbrile per le lettere, uniti da una “certa idea” dell’intellettuale moderno, visceralmente incistati nel bubbone ideologico – seppur all’interno di prospettive profondamente diverse – che caratterizzò il periodo tra i due conflitti mondiali e gli anni della “lunga guerra civile europea”. Ancorché separati alla nascita del Novecento. E divisi quanto a temperamento e idee politiche. Non a caso il titolo, che già molto dice, dell’intenso e fortunato saggio di Serra, del quale si ricordano altre importanti letture della storia europea, da Dopo la caduta. Episodi del Novecento a Il passeggero del secolo, quest’ultimo in coppia con François Fejtö: Fratelli separati. Drieu, Aragon, Malraux. Il fascista, il comunista, l’avventuriero, uscito per Settecolori e vincitore di due prestigiosi premi letterari, l’Acqui Storia in Italia e, oltralpe, il Prix du rayonnement della Accademie Française.
Libro ricco, che nella sua complessità si presta a una lettura interpretativa su più livelli: è saggio storico e letterario, è biografia intellettuale e politica, è romanzo esso stesso. Con un linguaggio elegante e colto, mai affettato o banale, l’autore analizza il rapporto tra letteratura e storia e contribuisce a sbrogliare la matassa di avvenimenti reali o presunti, di idee e interpretazioni, attorno al “trio” – invero mai tale –, che caratterizzarono lo spaccato di Novecento a cavallo degli anni trenta e quaranta, fino ai sessanta. I quattro capitoli che ne compongo il canovaccio costituiscono il climax verso l’apogeo del racconto, il fallimento aulico, e la trasfigurazione dell’azione nella letteratura, del condottiero – quale ciascuno di essi, seppur in modi diversi, sperò di essere – nel poeta.
Drieu, romantico e borghese fascio-decadente, noto soprattutto per Fuoco fatuo e Gilles; Aragon, surrealista poi stalinista, e “cechiobottista” umbratile, autore prolifico ma non sempre efficace, di cui si ricorda soprattutto l’unico capolavoro Aurélien; Malraux, innamorato di se stesso e “avventuriero in pantofole”, scrittore asfittico dopo essere stato premiato con il Goncourt per
Molte cose ebbero in comune, non ultima l’assenza della figura paterna, determinante. Giocò a loro favore persino la cabala: nacquero tutti il 3 (gennaio 1893, Drieu; ottobre 1897, Aragon; novembre 1901, Malraux), il “numero perfetto” per eccellenza, sul quale Dante costruì
Serra ci guida seguendo il fil rouge che percorre le vicende dei protagonisti, una comune lotta, seppure all’interno di famiglie politiche e ideologiche distinte, contro il nichilismo europeo. Un’unica aulica tensione alla vita, come aulico fu il fallimento. Di Drieu, morto suicida, svilito nelle proprie pulsioni e ubbie rivoluzionarie. Di Aragon, represso e consumato dal binomio Triolet-Stalin. Di Malraux, avventuriero dannunziano della prima ora, castrato dal Potere (e incastrato da De Gaulle, che ne fece il suo ministro della cultura). In fondo non è la pulsione vitalistica un’esangue ricerca (rifiuto) della morte? Un’unica parabola, un climax appunto, per dire che l’“intellettuale armato” ha forse perso la guerra con
Maurizio Serra, Fratelli separati. Drieu-Aragon-Malraux, Edizioni Settecolori.