Il Fatto come la formazione dei Fasci di combattimento del 1919
15 Marzo 2010
La situazione è in equilibrio precario: dopo due o tre settimane che sull’affaire “liste” erano riusciti a mettere sulla difensiva il centrodestra, il caso Trani appare una così evidente e strumentale esagerazione che provoca reazioni opposte a quelle volute.
Vedremo come evolveranno le cose. Il flop dello sciopero disperato della Cgil e della manifestazione viola di piazza del Popolo sono il segno di un minoritarismo di fondo che segna la fase attuale della protesta.
Va, però, tenuto presente come le condizioni dello scontro tra garantisti e giustizialisti si siano modificate dall’autunno del 2009 da quando è uscito il quotidiano il Fatto, che così a occhio continua a mantenere un buon livello di diffusione.
L’uscita del Fatto è un po’ comparabile alla formazione dei Fasci di combattimento nel 1919. Prima di quella data i mussoliniani alimentavano la protesta, dopo hanno iniziato a picchiare e non solo ricevevano botte gli avversari bolscevichi ma anche i tiepidi, quelli che non volevano inasprire le tensioni, quelli che segnalavano le forzature: da Matteotti ad Amendola.
Il Fatto non è indirizzato solo contro i berlusconiani, così come i fascisti non combattevano solo i bolscevichi: anzi i veri nemici di Benito Mussolini erano i giolittiani, corroti, parlamentaristi (attaccati a quella stupida idea del popolo sovrano, dei ludi cartacei), panciafichisti, conciliatori invece che purificatori. Così i seguaci di Marco Travaglio picchiano sul Pompiere della Sera, su Piero Grasso, sulla Procura di Roma, su Livia Pomodoro, su Giorgio Napolitano. E persino su Antonio Di Pietro e Michele Santoro quando non si danno abbastanza da fare a menare le mani.
Sottovalutare la violenza, anche quando si limita per ora al linciaggio verbale, è sempre un grave rischio. Contro via Solferino i fascio-travagliati fanno danni perché basta qualche decina di migliaia di fanatizzati che non comprano più il Corriere per creare guasti ai bilanci: e così l’autorevole quotidiano milanese diventa assai impacciato. Il povero Giovanni Ferrara viene crocefisso perché avrebbe detto ai carabinineri di stare attenti nell’indagare su una struttura così delicata per la società italiana come la Protezione civile. Grasso viene intimidito perché non ha interrogato a sufficienza quella ciofeca di Massimo Ciancimino.
Non parliamo del linciaggio ad personam contro Augusto Minzolini. Con il ridicolo di affermare che l’informazione Rai è tutta targata Berlusconi mentre il direttore del Tg3 si chiama nientepopòdimeno che Bianca Berlinguer.
Naturalmente è provocatorio comparare gli anni dal 1919 al 1926 a quelli di oggi: anche se certe dinamiche hanno una qualche somiglianza. Per esempio l’effetto listone, quello dei tanti (da Benedetto Croce a Luigi Albertini) che per due anni coprono il mussolinismo, non pare molto diverso da quello che si legge nei movimenti dei vari Casini e Bersani.
Certo, il fascismo poteva riuscire perché fioriva nel contesto della guerra civile europea aperta con il conflitto mondiale del ’14-’18. Oggi il programma massimo dei giustizialisti, cioè costruire una organizzazione della società dove la sovranità popolare sia contenuta in margini minimi, mentre tutto il potere sia sovraordinato e senza alcun contrappeso da realtà separate dalla sovranità (dalle toghe ai “veri” giornalisti, ai “veri” costituzionalisti e così via) non è facilmente applicabile come si è visto nel 1992 e produce mostri (per di più puzzolenti) come si è potuto constatare nella Regione che ha più realizzato il sogno giustizialista, compresa la completa mano libera ai pm, cioè la Campania.
Comunque non bisogna mai sottovalutare gli effetti delle minoranze violente. Un piccolo sintomo che possano dare qualche risultato è riscontrabile anche dai movimenti di quello che costituisce l’oggetto specifico (un po’ maniacale) di questa rubrica: il montezemolismo.
Si sa come il tratto principale del montezemolismo sia quello di generare comportamenti da topino: nelle fasi di bonaccia si cerca un buchino nella forma di formaggio per accomodarsi (si parlava di un Luca Cordero di Montezemolo pronto a fare il ministro). Però se si sente aria di tempesta, ci si mette subito a zampettare per scappare dal vascello in possibile pericolo. Il segnale pro astensionismo lanciato in questi giorni dai montezemoliani avrebbe l’arietta del “lasciate la nave, topetti!”.
L’unica consolazione è che i vari futuristi di oggi (da Italia Futura a FareFuturo) tendono a sbagliare le previsioni.