Il federalismo ha un senso ma solo se non introduce nuove imposte

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Il federalismo ha un senso ma solo se non introduce nuove imposte

Il federalismo ha un senso ma solo se non introduce nuove imposte

25 Gennaio 2011

I decreti delegati per la riforma fiscale federalista riguardante i tributi comunali saranno fra poco  nuovamente discussi dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica di cui fanno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali di governo e dalla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale composta da quindici senatori e da quindici deputati, che rispecchiano la composizione dei gruppi parlamentari. La drammatizzazione di questo evento è fuori luogo in quanto entrambi gli organismi esprimono solo pareri non vincolanti. Hanno il vizio di voler abusare dei propri poteri e a ciò bisogna opporsi.

A ciò si deve aggiungere che i pareri vincolanti invece competono, in modo legittimo ed opportuno, alle Commissioni bilancio del Senato e della Camera alle quali tocca di accertare che i decreti delegati non varchino i limiti finanziari di cui all’articolo 81 della Costituzione, secondo cui ogni modifica delle entrate e delle spese, dopo l’approvazione della legge di bilancio, deve indicare la copertura dell’eventuale riduzione di gettito o aumento di spesa. D’altra parte sino ad ora nessuno ha avanzato il dubbio, per altro fondato, sulla validità della attuale composizione della Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo. Infatti la composizione della commissione non rispecchia affatto la attuale composizione dei gruppi parlamentari, poiché la sua nomina è stata fatta quando non vi era stata la scissione di Fli dal Pdl e quando ancora non esisteva, alla Camera, il Gruppo parlamentare di iniziativa responsabile, composto di 21 membri.

Non è chiaro, in particolare, perché il governo debba sentirsi vincolato dal parere della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, che è un organismo extra parlamentare, mentre il potere legislativo per la nostra costituzione spetta al parlamento e non può essere demandato a entità esterne. In tema di tributi, l’articolo 223 stabilisce che essi non possono essere stabiliti se non in base alla legge. Ne consegue che ben poca autorità può avere un parere negativo di questa conferenza, circa il fatto che la legge delega non contenga un ampliamento di un tributo che una parte dei sindaci, avidi di nuovi poteri fiscali, vorrebbero fosse effettuato. Ed è questo appunto uno dei dissensi che si sono manifestati in tale Conferenza e che hanno trovato un riflesso in senso alla Commissione Interparlamentare per il Federalismo fra i rappresentati dei partiti non facenti parte della maggioranza di governo.

Si tratta delle addizionali comunali all’Irpef, che sono da vari anni bloccate e che i comuni chiedono di sbloccare, quale condizione per il loro assenso al federalismo! Bisogna fare molta attenzione quando si discute del federalismo municipale e regionale. Infatti esistono due diverse impostazioni, una che lo considera una modalità per ridurre i carichi fiscali e migliorare e ridurre i costi della spesa pubblica, mediante la maggior vicinanza dei governi locali e regionali agli interessi e ai voleri dei cittadini elettori contribuenti. Ma c’è un’altra impostazione, che si sta purtroppo affermando: quella per cui la devoluzione federalista di compiti di entrata e spesa agli enti regionali e locali viene considerata da questi come un mezzo per migliorare le loro finanze pubbliche, dando di più ai governi del Nord, ma lasciando gli stessi importi a quelli del centro-sud o addirittura accrescendo nel complesso la pressione fiscale, grazie ai nuovi balzelli, come la nuova imposta di soggiorno del 5 per cento e altre nuove entrate, come l’IMU, l’imposta municipale propria, che dovrà andare in vigore dal 2014. Anche su di essa si è avuto uno scontro fra chi vuole evitare che generi nuovi aggravi sugli immobili e i sindaci e le sinistre affamate di nuovi gettiti tributari sulla proprietà immobiliare.

Non voglio qui entrare nei particolari di questo altro rischio, che corre il federalismo fiscale, cioè quello di effettuare una riforma che invece che ridurre il peso delle imposte sulle case, lo aggravi. Mi limito a rilevare che c’è un’opposizione ai decreti attuativi strettamente connessa al desiderio delle sinistre e di una parte dei partiti di centro di cogliere questa occasione per ripristinare l’ICI sulla prima casa o comunque tassare con nuove aliquote gli altri immobili, per ottenere altro gettito immobiliare, senza rendersi conto dei danni che ciò provoca, dal punto di vista economico e sociale. Invece esiste una vastissima evasione in questo campo e quindi è possibile ridurre le aliquote recuperando questo sommerso. In linea di principio i buoni amministratori locali dovrebbe svolgere questo compito, non quello di chiedere aliquote più alte.

C’è un’altra grossa questione che ha determinato il rinvio della approvazione dei decreti delegati sul federalismo municipale e la richiesta di ritocchi ai loro testi. Si tratta della tassa di soggiorno a carico dei pubblici esercizi, nelle località turistiche, da 0,5 euro sino al tetto di 5 euro per persona per pernottamento. Non un obbligo ma una facoltà introdotto dall’articolo 7 bis del decreto delegato che appunto consente un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture recettive sul proprio territorio per finanziare interventi in materia di turismo, a favore dei comuni capi luogo di provincia sino a 5 euro. Chi legge distrattamente il testo pensa che si tratti solo di 5 euro per camera, ma l’imposta è per persona e quindi per una camera a due letti o con letto matrimoniale, occupata da due persone, può arrivare a dieci euro. La norma non dice se essa vada apposta sul prezzo dopo l’Iva oppure su di esso, prima dell’Iva. Nel silenzio del decreto, appare ovvio che essa si applichi sul prezzo prima dell’Iva, che dunque cadrà anche sui 5 o 10 euro, con un aumento del 20%. Si dirà che si tratta di un tetto massimo. Ma lasciare ai sindaci questa possibilità è, comunque, un grosso rischio.

Il tributo trova il fondamento nella legge delega del 5 maggio 2009 n. 42 che all’articolo 12, lettera e), prevede l’introduzione “di uno o più tributi propri comunali che, valorizzando l’autonomia tributaria, attribuisca all’ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimento a particolari scopi quali la realizzazione di opere pubbliche e di investimenti pluriennali nei servizi sociali ovvero il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana”.
 Si tratta di una norma opinabile, che va nella direzione del federalismo municipale come aumento della pressione tributaria e del numero dei tributi, qualche cosa che non capisco come possa piacere alla Lega Nord e che a me personalmente ripugna, anche perché i tributi che non si commisurano a una base imponibile espressione di capacità contributiva, come il fatturato o il reddito, ma sono espressi in euro, mi paiono contrari alla logica della tassazione dei consumi o del reddito.

Inoltre non ritengo che i comuni abbiano bisogno di tassare gli alberghi, le locande, le pensioni e i camping con un tributo di soggiorno allo scopo di promuovere il turismo, in quanto a ciò dovrebbero bastare le imposte prelevate sui pubblici esercizi, per le quali, semmai, occorrerebbe maggiore vigilanza, date le ampie evasioni che attualmente caratterizzano questo settore. Inoltre, dove fosse introdotto il tributo dovrebbe andare a un apposito fondo vincolato per il patrimonio artistico e la promozione culturale, i soli veri motivi per dare una logica al nuovo balzello. Sino ad ora il tributo è  limitato ai comuni capoluogo di provincia. Ciò però non basta all’opposizione. Voci autorevoli di essa invocano una estensione dell’imposta di soggiorno a tutti gli altri comuni, con l’argomento che il turismo è svolto, molte volte, soprattutto nei comuni non capoluogo. Ciò è vero. Ciò che non è vero è che questi comuni non abbiano rilevanti gettiti tributari dal turismo e quindi che ci sia un motivo per dare alle loro giunte comunali questa nuova arma fiscale.

I comuni turistici hanno rilevanti spese per i non residenti, ma anche una fiscalità molto maggiore degli altri comuni che li compensa ampiamente di tali spese differenziali. Infatti hanno l’ICI sulle seconde case e sugli immobili adibiti a strutture recettive e le Regioni di cui essi fanno parte hanno l’IRAP sugli esercizi alberghieri e di ristorazione oltre agli altri pubblici locali. Questo tributo costituisce un fardello addizionale che molto difficilmente sarà trasferito sui clienti, data la concorrenza nel settore turistico. Ricadrà sulle aziende recettive indebolendole. E nella misura in cui si trasferirà ai clienti, disincentiverà il turismo. Bel modo di promuoverlo, quello di tassarlo! Bel modo di fare il federalismo fiscale, quello di farlo all’insegna di nuove imposte. E’ necessario dire no al federalismo fiscalista e sì soltanto a quello che migliora la posizione del contribuente. Se la sinistra e il centro ritengono di imboccare la strada del federalismo vampiro, a mio parere, è necessario lasciare che si oppongano al decreto e approvarlo senza deturparlo. E’ già al limite della accettabilità, dal punto di vista dei principi del federalismo come mezzo per ridurre la dimensione del settore pubblico. Non capisco cosa ci guadagni la Lega Nord a sponsorizzare una nuova tassazione, quale contropartita per il sì delle sinistre al federalismo fiscale.