Il fiasco degli 007 in Libia e le richieste di Israele

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Il fiasco degli 007 in Libia e le richieste di Israele

10 Marzo 2011

Dell’operazione maldestra che ha portato alla cattura del commando britannico qualche giorno fa in Libia parlano ormai tutti i giornali del mondo, e si può ben immaginare l’umor nero sui volti dei massimi responsabili dell’intelligence londinese (figuriamoci le polemiche dei soliti "grilli parlanti "se fossero stati uccellati uomini in forza all’Aise).

L’ultima notizia circa questo "fiasco", come titolano alcune testate d’Oltremanica, racconta che gli sfortunati agenti portavono appresso nientemeno che una missiva firmata dal primo ministro David Cameron, evidentemente desideroso d’imitare lo stile della signora Thatcher, indirizzata ai ribelli anti Gheddafi. Incidenti che succedono nei territori più rischiosi anche ai migliori professionisti in circolazione, si dirà; e d’ altronde le occasioni per un lesto riscatto proprio non mancheranno.

Se il Regno Unito piange, un’altra monarchia europea, quella olandese, non ride. I tre marines orange arrestati dai fedelissimi del Colonnello nei pressi di Sirte, ove erano giunti a bordo d’un elicottero Lynx, hanno trascorso ore poco serene e la diplomazia sotterranea, l’unica in funzione quando le armi dominano la scena, sta facendo ogni sforzo per trarli in salvo senza ulteriori danni. A suon di quattrini.

Di fronte a una situazione in cui pochi temerari azzardano previsioni, è da comprendere la richiesta che il ministro israeliano della difesa Ehud Barak ha rivolto, in privato e a mezzo stampa per rafforzare il messaggio, all’alleato di Washington: lo Stato ebraico, visto il quadro in perigliosa evoluzione, ha bisogno di altri venti miliardi di dollari in aiuti militari per non trovarsi impreparato dinanzi ai tumulti arabi che rischiano ora di estendersi pure ai territori sauditi, dove venerdì è prevista una "giornata della collera" dagli esiti incerti.

L’ex leader laburista pensa che i cambiamenti nella regione procedano nella giusta direzione, manifestando un certo ottimismo per l’apertura dei Paesi in agitazione popolare verso la modernità, ma questo per ciò che riguarda il lungo periodo.

Nell’immediato Gerusalemme, vista la persistente minaccia proveniente da Iran, Siria, Libano, chiede uno sforzo importante che Obama, nonostante le casse non proprio pingui del momento, dovrebbe ben considerare, specie pensando al futuro ruolo di stabilizzatore che Israele può recitare nell’area. Ancora una volta: si vis pacem, para bellum.