Il fumo nuoce gravemente alla salute

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Il fumo nuoce gravemente alla salute

14 Novembre 2010

Dopo una giornata stressante era ritornato a casa. Tirò il cordone della sua camera da letto, la cameriera comparve, lui le disse di portargli un cognac nella biblioteca al piano di sotto.

Si sprofondò nella consumata poltrona di cuoio rosso e degustò il cognac nel bicchierino di cristallo venato d’oro, come un bambino che si lecca le dita sporche di cioccolato. Diede uno sguardo sulla mensola del caminetto: la sua pipa era lì. Si alzò stancamente, la prese, la riempì e tornò a godere della comodità della poltrona. Staccò il fiammifero e l’accese. Aspirò profondamente e in un istante provò una spaventosa fitta al petto.

Da quell’uomo intelligente e medico capace che era capì cosa stava accadendo, se l’aspettava da anni, ma non pensava che sarebbe stato tanto doloroso. Tentò di mandare un messaggio ai posteri, ben sapendo di non avere abbastanza tempo per chiedere soccorso e salvarsi: prese un dvd dal mobile a parete, la posò sul libro che gli stava vicino e raccomandò l’anima a Colui in quale gliela aveva prestata.

 

*** 

I flash dei fotografi erano per Corbera “la negazione dell’armonia visiva”.

Se fosse dipeso da lui avrebbe preferito dei disegnatori che ritraessero la scena, ma poi l’oggettività e la perfezione ne avrebbero risentito. L’eterna condizione umana: non si può avere la perfezione.

Per la prima volta nella mattinata vide il commissario Falconeri. Si era fatto strada fra l’orda ressosa dei fotografi frammisti ai medici legali, gli si era accostato e ora parlava a bassa voce:

«Dottor Giovanni Satalo, primario di chirurgia interna all’ospedale “Maria Teresa di Calcutta”. Scapolo, senza figli, senza vizi, non compromesso con la criminalità, benefattore dell’ospedale pediatrico, filantropo…».

«Insomma, puro come un lenzuolo di Legambiente steso sulla vetta dell’Everest».

«Precisamente. Sembra che non ci sia nessun movente possibile».

«Anzi, ci sarebbe da amarlo anche essendo il peggiore dei nemici».

 

***

Il referto autoptico diceva che la morte era sopravvenuta per un collasso cardiovascolare. Dopo era risultata anche la presenza di stricnina. Molto probabilmente il collasso era stato causato da quest’ultima. Per il professore si prospettava una nuova occasione di dimostrare le sue doti.

 

***

Falconeri era stato invitato a pranzo dal professore, con l’implicita intenzione da parte di ambedue di parlare del delitto. Entrambi erano del parere che davanti a un piatto di pasta al forno, lasagne, cannelloni, tortellini o spaghetti, le idee erano migliori di quelle concepite in uno squallido ufficio su sedie di plastica grigia.

Alla prima portata, piacevolmente annaffiata da uno schietto Montepulciano d’Abruzzo, il professore aveva fatto un piccolo ragionamento:

«Se il poveretto è stato avvelenato, è stato un omicidio premeditato. Fin qui nulla quaestio».

«Ovvio».

«Ovvio. In che modo gli è stato somministrato il veleno? Per mezzo del cognac. Giusto?».

«Impeccabile».

«Ma chi potrebbe aver avuto possibilità e interesse?».

«La cameriera era l’unica con la possibilità, ma il movente non c’è».

«Quindi, caro commissario, noi dobbiamo andare più in là rispetto al bicchiere, occupandoci della bottiglia».

«Nella mattinata» intervenne Falconeri «aveva incontrato cinque persone, in tutti i casi aveva offerto da bere, tranne all’ultimo incontro, poiché quello che aveva incontrato era astemio. Perciò, non potendo essere uno dei tre iniziali altrimenti ci sarebbe un morto in più, potremmo pensare al penultimo e all’ultimo».

«Purtroppo no, il penultimo non avrebbe rischiato di uccidere un altro e poi farsi scoprire, mentre l’ultimo non ha avuto modo di essere vicino alla bottiglia. Che ne è stato del cognac avvelenato?».

«La cameriera, dopo averne servito un bicchiere al padrone nella biblioteca, siccome la bottiglia si era vuotata, l’ha lavata».

«Che fortuna!» fece sarcastico il professore.

«Già».

 

***

La seconda portata aveva portato una nuova luce al commissario:

«Ma se la cameriere ha lavato la bottiglia, noi non abbiamo la certezza che il veleno venga da là. La fonte potrebbe essere differente».

«Probabile, ma questa fonte qual è?».

«Non lo so».

«Caro il mio commissario, questo è il busillis. Da dove è venuta la morte? Il dottore era solo, ben voluto e nessuno ha avuto la possibilità di somministrargli il veleno».

«Dobbiamo quindi pensare a un suicidio?».

«Questa è una possibilità effettiva, ma perché? Hai le foto della scena del delitto?».

«Sì, tieni».

E gli porse una bustona gialla.

Un dettaglio sorprese il professore.

Su un libro era stato poggiato un dvd, ma il nome era illeggibile a occhio nudo. Corbera prese dal tiretto del secrétaire lì vicino la lente d’ingrandimento più potente che aveva. La mise fra il suo occhio e la fotografia e poi sillabò lentamente:

«L’i-so-la-del-te-so-ro» poi tutto d’un fiato «l’isola del tesoro».

«La cameriera ci ha detto che quando ha portato il bicchiere col cognac la stanza era in ordine perfetto. Quindi…».

«…la vittima ci ha mandato un messaggio».

«Ma che avrà voluto dire?».

«Altro busillis».

 

***

Ma fu dopo il dessert che al professore venne l’illuminazione:

«Dvd pirata!».

«È il tuo nuovo business?».

«Ma quanto sei spiritoso. L’isola del tesoro è una storia essenzialmente di pirati, il dvd sovrapposto va letto prima: dvd pirata. Che te ne pare?».

«Caro signor Corbera, lei mi stupisce ogni giorno che passa».

«Trova chi, fra quelli che Satalo aveva incontrato durante la mattinata, ha a che fare col mondo della celluloide».

«No problema».

 

***

Quando il commissario se ne andò, la pendola di rovere battè le undici meno un quarto, per cui il professore andò a letto senza indugiare. Prese da sotto il guanciale il pigiama e aprì il libro che stava leggendo: Filastrocca di sangue per il commissario Cataldo di Luigi Gucciardi. Aveva per la testa l’identità dell’assassino già da pagina cinquantadue, ma non ne era sicuro e perciò non vedeva l’ora di avere la conferma della sua ipotesi.

Verso l’una si addormentò e il suo sonno fu affollato da centinaia di ripetizioni della scena del delitto basato sulle prove del caso, ma con varianti notevoli e non. Era tormentato da un dettaglio di cui non riusciva a capire la natura.

 

***

Il giorno dopo il commissario portò buone nuove:

«Sono solo due sono gli interessati: un bevitore e l’astemio: Peter Iridau e Gianluca Salàco».

«Andiamo a interrogarli».

 

***

Nell’atrio della palazzina popolare c’era una forte puzza d’umido e molte macchie verdi devastavano le pareti. Su un citofono semidistrutto dai vandali lessero una targhetta sbiadita recante il nome Iridau. Bussarono più volte, ma non ci fu risposta. Il professore ebbe un dubbio:

«Ma sei sicuro che sia lui?».

«Certo, è l’unico Peter Iridau in città».

«Bella gente frequentava il dottore. Qual è il numero di targa dell’auto di Iridau?».

«SH221BBS».

«Non ha altri mezzi?».

«Neanche un monopattino».

«Controlliamo le targhe di queste auto».

Iniziarono una certosina ricerca del mezzo e non fu difficile trovarlo poiché le automobili erano solo dodici.

Il professore pensò allora che, data la distanza dal centro, era impensabile muoversi a piedi. Ritornarono al portone e il commissario lo aprì con un calcio.

«Ho sempre sognato farlo».

«Con la gentilezza si ottiene tutto, no?».

Iniziarono la salita della ripida scala e giunti alla porta del ragazzo, il commissario fu sul punto di ripetere la mossa di piede di poco prima, ma fu fermato dal professor Corbera, a cui bastò la spinta di un dito per spalancare l’uscio.

 

***

Il locale era maleodorante. Lo straziante odore di pesce andato a male proveniva dai cuscini consunti del divano. Bottiglie di alcolici di ogni genere giacevano vuote o gocciolanti su tutti i mobili. La buona vista del professore localizzò anche uno Chàteau d’Yquem con un’annata di tutto rispetto. Nel corridoio erano appesi i poster della metà di tutti i rockettari del sistema solare. Finalmente, giunti alla stanza da letto, udirono un ronzio. Falconeri estrasse la pistola, ma fu inutile, poiché trovarono un ragazzo biondiccio fra i venticinque e i trent’anni morto di overdose. Sguardo vitreo, un rigagnolo di sangue che ancora scorreva dall’incavo del gomito.

«Chiudi la porta. Sta scappando!».

Gridò il professore al commissario, ma era troppo tardi: un’ombra schizzò alle loro spalle e diede un destro sulla mascella del commissario che cadde a terra.

Col manico ricurvo dell’ombrello che aveva in mano, il professore, lo fece cadere trattenendolo per la caviglia e poi gli si gettò addosso. Purtroppo il tipo ebbe la meglio e fuggì. Quando il commissario si rialzò disse bestemmiando che se lo erano lasciati scappare, ma il professore lo rallegrò dicendo che il fuggitivo era ferito. Infatti gli si era conficcato nel braccio un pezzo di vetro.

Quando furono in macchina, sulla strada del ritorno, il povero Falconeri chiese a Corbera:

«Come sapevi che era ancora in casa?».

«Primo: la porta era aperta e uno che fa dvd pirata se ne guarda bene. Ricordi quel ronzio? Era il masterizzatore in funzione. Secondo: il rivolo del braccio era ancora freschissimo, perciò era molto probabile che qualcuno fosse ancora in casa, magari un socio, un amico o uno spacciatore. O magari l’assassino».

 

***

Il secondo tizio da interrogare era la nemesi del primo: un signorile centro residenziale immerso in un prato talmente ben curato da poter essere tranquillamente scambiato per quello di Buckingham Palace. Portiere ventiquattro ore su ventiquattro, guardie giurate con unità cinofile e ogni sorta di servizio, dalla piscina al centro di estetica alla discoteca. Ricordava il condominio descritto da Ballard.

Videocitofono e nomi altisonanti sulle targhette.

Quando superarono l’imponente cordone di protezione ed ebbero bussato alla porta del giudice Gianluca Sàlaco, una cameriera (che non avrebbe sfigurato vicino a una qualsiasi delle famiglie reali della Scandinavia) li fece accomodare su un divano rivestito di seta verde. Giusto il tempo di togliersi i soprabiti e si materializzò davanti a loro un bel tipo di quarantenne abbronzato e brizzolato. Alto e atletico, il giudice era ancora, nonostante la calvizie incipiente, un bell’uomo. Li salutò cordialmente e chiese con tono gioviale:

«Allora, signori. Cosa posso fare per voi?».

«Purtroppo» fece diplomatico Corbera «non ci portano qui belle notizie. Ci stiamo occupando della morte del suo amico dottor Giovanni Satalo».

«Ma non si è trattato di suicidio?».

Nella mente di Corbera si scatenò un sentimento contraddittorio verso i giornalisti: da un lato era grato a quella baggianata grazie alla quale l’assassino si era illuso di potersi muovere liberamente e di conseguenza si era reso riconoscibile per la ferita del vetro, dall’altro avrebbe strozzato il o la giornalista per aver fatto pensare che i poliziotti (che già non godono di buona fama) fossero tanto stupidi da credere a un suicidio.

«No, si è trattato di un omicidio».

«Terribile. Ma come potrei aiutarvi?».

«Lei è l’ultimo che lo ha visto vivo».

«E allora?».

«Ha forse notato qualcosa di strano?».

«No. Mi è sembrato normale e allegro».

«Perché era andato a trovarlo?».

«Visita di cortesia. Mio figlio gli aveva mandato, tramite me, una scatola di tabacco di prima qualità. Gli era molto affezionato».

«Le ha offerto da bere?».

«No, sono astemio».

«Lui ha bevuto?».

«Sì, due bicchierini. Poi si è alzato per dare alcune istruzioni alla sua cameriera».

“Quindi è rimasto solo con la bottiglia” pensò il professore.

«Ne è sicuro?» incalzò Falconeri.

«Certo».

«Dove si trova suo figlio adesso?».

«Non vive con me. Ha un suo appartamento al centro».

«Come si sostenta?».

«Gli passo tremila euro al mese perché lui studia all’università».

«Che studi ha intrapreso?».

«Chimica e biologia».

«I miei migliori auguri».

Mentre stavano dirigendosi alla porta, l’attenzione del professore fu attratta da un piccolo dettaglio:

«Dottore».

«Sì professor Corbera?».

«Le sanguina il braccio».

Il giudice aveva gli occhi trasognati, la bocca semiaperta e con lentezza incredibile volse lo sguardo al rivolo rosso cupo che gli scivolava lungo la mano.

«Forse è meglio che venga con noi» disse perentoriamente il commissario.

Il giudice annuì.

 

***

«Questa è la sua confessione, in cui dice di aver ucciso il dottor Satalo e Iridau» disse il commissario «Sottoscrive?».

«Sì».

Detto fatto: Falconeri gli girò i fogli e la penna e quello firmò ciò che c’era da firmare. Ma il professore non era convinto e si confidò col commissario.

«Come li ha uccisi e perché?».

«Non lo so. Vivi e lascia vivere».

«E se coprisse qualcuno?».

«E perché andare in galera per una persona che ha commesso un omicidio».

«Ma se fosse una persona a cui vuoi molto bene?».

«E allora perché era da Iridau?».

 

***

Corbera ebbe un sonno agitato. Detestava che lo si lasciasse vincere.

Stava a lambiccarsi il cervello mentre rigirandosi nelle lenzuola si era imprigionato.

“Come un sigaro sulla coscia di una cubana” pensò mentre tentava di liberarsi. “Proprio come un sigaro” pensò ancora. Quando però sillabò la parola sigaro ebbe come un’illuminazione. Il caso si era risolto da sé e ogni fatto andava prendendo il suo posto.

 

***

«Vuoi fare colazione con me?».

«D’accordo, vengo a prenderti?».

«No, resta in commissariato. Vengo io lì».

«Comandi!».

***

Dopo essere entrati nel bar e aver ordinato al bancone, si sedettero a un tavolino.

«Posso esporti una piccola teoria?» disse il professore.

«Se proprio insisti…».

«Immagina un ragazzo. Uno studente brillante, un figlio devoto. Un giorno, quando è bambino, scopre di aver lasciato la telecamera regalatagli dai genitori nella stanza da letto di questi ultimi. Corre a recuperarla e poco prima di entrare assiste a una scena sconvolgente: la madre bacia appassionatamente un uomo che non è suo padre, assente per lavoro. Che avrà pensato il bambino non lo sapremo mai, ma per lui la sequenza di traumi non è finita. Vede la madre litigare selvaggiamente con quell’uomo che, preso da un raptus, la picchia. La donna allora prende dal tiretto della scrivania lì vicino una rivoltella e si suicida. Un gesto insensato, ma non ti devo dire io la quantità di cose insensate che le persone fanno in preda alle passioni. Allora l’uomo, sconvolto, vede il bambino entrare nella stanza, fissarlo e poi recuperare la propria telecamerina. L’uomo fugge, non capendo di aver decretato la propria condanna a morte. Il bambino, una volta cresciuto, ha dentro sé una rabbia tale da istigarlo al delitto. Pianifica tutto nei minimi particolari ed esegue l’omicidio, però non sa che suo padre ha fatto due più due ed ha capito tutto. Il padre cerca di coprire il figlio, ma sa che c’è un amico molto stretto del figlio (un tossico incontrato all’università) che sa tutto perché raccontatogli direttamente da lui. Va a casa sua e gli dà tanta droga da ucciderlo in modo tale da eliminare una pedina scomoda. Ti garba?».

«Affascinante, ma spiegami due cosette. Uno: che aveva a che fare il dottore con Iridau? Due: “dvd pirata” si riferiva a Iridau o al bambino della telecamerina».

«Prima risposta: probabilmente gli aveva procurato del materiale scottante tempo prima e quando poi lo ha incontrato l’ultima volta stavano parlando di questo. Seconda risposta: non lo so, non sono una fattucchiera, ma entrambe le strade ci avrebbero portato all’assassino poiché indicando il bambino ci indicava l’assassino, mentre facendoci seguire la strada di Iridau ci indicava l’amico dell’assassino che sapeva tutto. Tutto chiaro?».

«Sì grossomodo. Mi sembra tutto un po’ fantasioso e forzato, ma… E come l’ha ucciso?».

Il professore sghignazzò.

«Che c’è da sghignazzare?».

Il professore continuò, poi il commissario capì:

«Non vorrai…».

Il professore annuì.

«Sadico».

Falconeri aveva capito che il professore non glielo avrebbe detto, godendo di quel sadico piacere che i detective provano quando possono non spiegare qualcosa a qualcuno.

 

***

Erano andati a casa del giovane di cui Corbera sospettava la colpevolezza. Li accolse con molta educazione e domandò il perché di quella visita.

«Motivi di servizio» fece secco il commissario.

«Come mai ha scelto la faticosa facoltà di chimica e biologia?».

«Fin da piccolo la matematica mi ha affascinato e poiché al liceo riuscivo bene in chimica…».

«Capisco. Lei conosce un certo Peter Iridau?».

«No».

«Dove si trovava la notte del delitto del dottor Sàlaco?».

«Ero qui a studiare».

«Cosa studiava?».

«Botanica».

«Cosa in particolare?».

«Piante afrodisiache. Perché?».

«Curiosità».

«E ora mi dispiace essere sgarbato, ma vi pregherei di lasciarmi studiare».

«Ci scusi, arrivederci».

«Buongiorno».

 

***

L’atto finale della vicenda stava per svolgersi e il professore disse a Falconeri di portare in commissariato il giudice e suo figlio.

«Mi dispiace avervi disturbato, ma sono stato costretto».

«Che volete da me e da mio figlio? Sono io l’assassino. Perché date fastidio anche a lui?».

«Lei non è l’assassino. È suo figlio».

«Non dica stupidaggini».

«Mi sono spesso domandato come il veleno fosse arrivato nel cognac. Non ho mai preso in considerazione che il veleno non si fosse trovato nella bottiglia, ma nella pipa».

«Lei è pazzo» gridò il figlio del giudice.

«Un dettaglio che poi mi ha portato alla verità è stato il dubbio che il cognac fosse puro. Lei» disse rivolgendosi al ragazzo «mi ha detto di non aver mai conosciuto Peter Iridau».

«Confermo».

«Allora come mai ho trovato in casa del poverino una bottiglia del migliore Chàteau d’Yquem esistente in città? Solo tre cantine ne vantano la presenza: la mia, quella della “Enoteca dei Principi” e la vostra. Lei gliene ha fatto dono e sono sicuro che se ne rileviamo le impronte troveremo anche le sue. False testimonianza, si può procedere legalmente per questo. Lo sa?».

Il giovane impallidì.

«Saputo che il dottore non si era suicidato, ma che era stato ucciso, suo padre rimase un po’ interdetto. Mentre lei non ha fatto una grinza. Questo, per me, significa che lei lo sapeva. Quando sono venuto a casa sua ho notato che il libro che stava sulla scrivania aveva un segno. Ho consultato quello della mia biblioteca (che è identico) e ho constatato che era alla pagina della Cantaride».

Il ragazzo divenne color indaco.

«La Cantaride è appunto una pianta afrodisiaca che contiene stricnina e che causa un collasso cardiovascolare letale».

«Ha prove di quello di cui mi accusa?».

«L’arma del delitto le basta?».

“Ottimo esempio di domanda retorica” pensò Corbera, complimentandosi con se stesso.

«Abbiamo controllato il tabacco della pipa e poi lo abbiamo confrontato con quello che gli aveva regalato lei. Il tabacco era frammisto alla Cantaride. Un’idea geniale».

Il ragazzo, come compiaciuto, sorrise all’osservazione finale del professore. E quando il commissario disse «Portatelo via disse serio il commissario agli agenti fuori dalla porta, il figlio del giudice non oppose nessuna resistenza e conservò quello sguardo soddisfatto.

Quando poi il professore ed il commissario rimasero soli, il primo chiese al secondo:

«Ma è mai possibile?».

«Cosa?».

«Tutte le volte questa storia».

«Quale storia?».

«Io mi sgolo per trovare la pista giusta per arrestare i criminali e tu te ne vieni fresco fresco e dici ai tuoi uomini “Portatelo via”».

«E che c’è di male?».

«Una volta tanto vorrei farlo anch’io. Posso gratificarmi o no?».

«Ma se ogni volta che c’è un omicidio ti fascio scorrazzare libero come una faina in un pollaio, che vuoi di più? Ti assecondo in tutte le trovate più balzane che ti saltano in mente».

«Ma non mi fai mai dire “Portatelo via”».

«Sei una suocera. La prossima volta lo dici tu. Contento?».

«Raggiante».     

                                                                                        

                                                                             FINE