Il futuro dell’Europa? Dipende da “Gerussia”

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Il futuro dell’Europa? Dipende da “Gerussia”

19 Febbraio 2018

Il futuro dell’Europa? Dipende da “Gerussia”. L’analisi condotta da Salvatore Santangelo nel suo testo intitolato “Gerussia. L’orizzonte infranto della geopolitica europea” (Castelvecchi, Roma) non lascia spazio a dubbi: “come gli altri Stati europei “definiranno” il proprio rapporto con queste due Potenze [Germania e Russia], costituirà il prerequisito per comprendere il loro modo di porsi nel contesto geopolitico continentale”.

E’ da questo assioma di fondo che parte e si dirama la lucida analisi di Santangelo sulla storia e sulle prospettive dei complessi e allo stesso tempo peculiari rapporti tra Germania e Russia, sintetizzati nell’espressione “Gerussia”, termine coniato dal Centro Studi di Geopolitica della Duma. Una storia fatta di tensioni, aperture e chiusure diplomatiche (e non solo), avvicinamenti e allontanamenti continui. Ed è proprio questo che fa di Gerussia una trama di rapporti che costituisce un unicum a livello internazionale.

Dall’unificazione tedesca del 1870 (per la quale la mancata opposizione di San Pietroburgo fu determinante) al ruolo di Berlino nell’ascesa al potere dei bolscevichi, dal riavvicinamento tattico di Rapallo (1922) a quello di più ampio respiro favorito dall’Ostpolitik di Brandt, fino alle nuove intese che, benché con modalità differenti , hanno caratterizzato l’approccio di Schroeder e della Merkel verso la Federazione Russa di Putin. Ma le cesure tra Germania e Russia non sono state da meno. Basti solo ricordare, come fa Santangelo, l’Operazione Barbarossa, che costituì al contempo la tomba del regime nazista e la rinascita di quello sovietico. In mezzo, solo tanto sangue.

Ma lo sguardo non è solo rivolto al passato. Il testo, infatti, non mira solo a ricostruire le trame tra queste due realtà e le conseguenze che esse hanno provocato sul panorama internazionale. L’obiettivo è guardare avanti, focalizzare cioè l’attenzione sulle opportunità che, alla luce del passato, Gerussia può offrire al contesto odierno, soprattutto europeo, non privo di focolai di tensione. E, come si è detto all’inzio, sullo sfondo, è proprio l’Unione Europea (e il suo domani) la vera osservata speciale.

Il sogno dei padri fondatori di creare un soggetto europeo ampio, da Ovest a Est, di per sè era un progetto lungimirante. Ma ben presto ci si accorse che accanto alla vera motivazione di fondo che portò gli stati europei ad unirsi, ovvero la paura di rivivere gli orrori del passato, se ne affiancò un’altra altrettanto “utilitaristica”: federandosi gli Stati avrebbero riguadagnato uno status e un ruolo nel mondo, entrambi drammaticamente compromessi dalle due guerre mondiali. Ma senza una motivazione morale di fondo, cosa che era alla base del “sogno dei padri”, è difficile pretendere l’unità. E in merito a ciò Santangelo evidenzia la profonda differenza tra Stati Uniti d’America e la debole unione tra gli Stati europei: “quando – dovendo decidere il destino dei territori dell’Ovest – le differenze si acuirono fino alla Secessione, la maggior parte degli Stati Uniti fu pronta ad affrontare un terrificante conflitto pur di preservare l’Unione – si legge nel testo -. Questa propensione e disponibilità al sacrificio sarebbero stati impossibili se gli Usa non fossero stati visti non solo come un progetto pratico ma anche come una missione morale: la Guerra civile piegò le ambizioni dei singoli Stati e stabilì che il governo federale fosse sovrano, e assolutamente sovrano nella sfera della politica estera. Al contrario, nell’Unione europea il modello confederale è ancora embrionale e la sovranità attiene a ogni singolo Stato nazionale. Partendo da queste premesse, la Ue difficilmente potrà fare efficacemente appello all’autorità o chiedere sacrifici in suo nome”.

Se a tutto questo si aggiunge che l’odierna Ue, in fin dei conti, è uno spazio economico fondato (solo) su una burocrazia dai meccanismi sempre più farraginosi, allora non è difficile comprendere il perché della Brexit e il riemergere dei nazionalismi spinti proprio dal vento dell’euroscetticismo. Tutto questo proprio perché, come spiega l’autore, “non esiste alcun fonda­mento morale in grado di far sostenere sacrifici radicali per preservare la Ue, se non la paura di veder riaffiorare gli orrori del passato, ma la memoria è sempre più sfocata e paradossalmente indebolita dalla reto­rica del politicamente corretto”. Chiarissimo.  

Ragion per cui, di fronte al fragilissimo edificio europeo, Gerussia rappresenta un’opportunità (l’ultima?) fondamentale: il trend in aumento degli scambi commerciali (in media 50 miliardi di dollari annui), gli accordi per il gas, le politiche di investimento, sono tutti elementi che possono rafforzare l’asse Berlino-Mosca. Certo, la ferita ucraina ha in parte raffreddato i rapporti, le politiche di Trump, ancora in via di definizione, e le lunghe trattative per la nuova (l’ennesima) Grande Coalizione Cdu-Csu e Spd hanno in parte rallentato il processo di rafforzamento di Gerussia. Tuttavia gli elementi per una maggiore integrazione tre le due economie sembrano esserci quasi tutti. E le parole di Putin vanno in questa direzione: “tra la Russia e gli Stati Uniti c’è un oceano”, mentre “tra la Germania e la Russia c’è una grande storia”.

Insomma, è assai probabile che da uno sviluppo di Gerussia ne venga fuori una Germania più forte e, di conseguenza, una Europa più forte, sempre meno legata alle politiche di austerity, telecomandate in questi anni proprio dalla importante ma in fin dei conti debole leadership merkelliana. Che non sia questa l’ultima occasione per uscire fuori dal pantano europeo e riprendere seriamente il processo di integrazione?