Il G8 potrebbe aiutare l’Onda Verde in Iran ma c’è un problema: Obama

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Il G8 potrebbe aiutare l’Onda Verde in Iran ma c’è un problema: Obama

03 Luglio 2009

Nonostante le attese, nonostante la fantastica potenzialità, è inutile aspettarsi che il G8 compia dei passi forti che vengano realmente in soccorso della Onda Verde dei giovani iraniani. Quanto più la scadenza si avvicina, tanto più si avverte il montare di un clima incerto, ben schematizzato dalla ultima dichiarazione di Franco Frattini che ha ridimensionato la previsione di soli tre giorni fa di Berlusconi che ipotizzava l’adozione di sanzioni o comunque di misure severe nei confronti del regime di Khamenei.

La ragione di questa indecisione e inefficacia è una e una sola: i pasticci di Barack Obama, i suoi errori, le sue analisi sbagliate. Solo un mese fa, dal Cairo, Obama ha mostrato al mondo islamico e all’Occidente di non avere compreso nulla della natura del regime di Teheran, concedendogli una dignità di interlocutore che i macellai khomeinisti hanno subito dimostrato essere al limite del demenziale.

Obama è caduto nella solita, trita, trappola del pensiero dei Democratici americani che credono nel valore salvifico del dialogo, abbandonando per di più quella prospettiva del diritto di ingerenza per ragioni umanitarie che il predecessore di Obama, Bill Clinton, a ragione, aveva invocato per Sarajevo e il Kosovo. Per Obama e la sua squadra, come per D’Alema e Fassino e la sinistra europea, il discrimine è dialogare o meno, e su questo il senatore di Chicago ha costruito la sua fortuna elettorale e la sua critica a Bush. Ma il punto discriminante non è questo.

Tutti devono dialogare con tutti – persino gli ebrei da Berna “dialogavano” con Hitler e gli riscattavano con camion militari, giustamente, le vite dei loro correligionari – ma a una condizione. La condizione che Obama disattende e su cui commette l’errore topico: avere chiara l’analisi del proprio interlocutore. Questo è l’errore marchiano che Obama ha compiuto al Cairo, costruendo un discorso pieno di errori altrettanto marchiani, in cui era evidente e palese la valutazione di fondo di avere di fronte una leadership iraniana aperta a concessioni, a scambi, a un “do ut des”, addirittura impegnata in una campagna elettorale in fondo democratica (come dicevano apertamente alcuni suoi consiglieri).

Il tutto in una logica di rapporti in fondo normali, tra Stati, una logica post Westfalia. Una valutazione che lo portava chiaramente – come dicevano apertis verbis i suoi consiglieri – ad accettare persino la bomba atomica iraniana, convinto – e qui si è vicini alla follia – di poter instaurare con gli ayatollah un regime di “deterrenza” equilibrata nella regione.

Tutto questo, nell’arco di pochi giorni, si è mostrato falso. L’immagine dei propri interlocutori iraniani che Obama ha offerto nel suo imprudente discorso del Cairo è risultata grottesca a fronte della realtà dei brogli elettorali e della repressione che si è scatenata in Iran contro l’Onda Verde.

L’Iran di Khemenei e Ahmadinejad, l’Iran dei Pasdaran, ha dimostrato di essere quel che ha sempre detto di volere essere: il motore della rivoluzione islamica nel mondo, al di fuori di ogni regola, di ogni logica, in disprezzo aperto e teorizzato della stessa legalità internazionale incarnata sino ad oggi dalla carta dell’Onu.

Un Iran, questo è il dramma, che vuole usare della bomba atomica non come deterrenza per sviluppare la propria area di influenza regionale (come pensava Obama), ma per sviluppare e estendere la sua rivoluzione nel Golfo, inziando dal Baharein (come minacciato apertamente dai consiglieri di Ahmadinejad), per continuare in Libano, a Gaza e altrove. E ora, a fronte di questa immediata e sanguinosa smentita delle sue valutazioni sulel caratteristiche dell’interlocutore.

Obama non sa assolutamente che fare. Anche perché l’impianto del discorso del Cairo offre alla Russia un’occasione d’oro per ribadire la sua posizione classica: le elezioni sono un problema interno iraniano, non si deve effettuare alcuna ingerenza sul piano interno di un paese terzo e al massimo ci si può impegnare in dichiarazioni che auspichino un minore rigore nella repressione. Questo farà il G8. Non altro. Si limiterà a una mozione di sentimenti, a generici auspici. Darà insomma ad Ahmadinejad e Khamenei la certezza di potere agire liberamente a fronte di un G8 paralizzato non dalla propria debolezza, ma dalla propria confusione.

L’errore del Cairo, la mancanza di un “piano B”, nel caso la strada del dialogo non fosse  – come era chiaro – percorribile, porterà semplicemente a ribadire i tempi lunghi, il trascinarsi di una trattativa inesistente sino al prossimo dicembre, mentre l’opposizione iraniana sarà di fatto lasciata sola a tentare di scalzare il regime. Un quadro di errori, di analisi sbagliate, di “dottrine” fumose che sta producendo disastri anche con la Corea del Nord.

Di fronte a un Obama che sa solo “dialogare”, non c’è dittatore così stupido da non approfittare per radicare ancora di più le proprie politiche aggressive ed espansive. Ben lo si vede in queste ore, con una Corea che continua le sue provocazioni missilistiche e atomiche e con un Iran che ormai sbeffeggia l’Unione Europea, che le nega dignità di interlocuzione, mentre Merkel, Sarkozy, Brown e lo stesso Berlusconi sono costretti a subire gli sberleffi senza reagire di fatto, prigionieri come sono di un Obama che, comunque, tiene la porta aperta, che, in ogni caso, non cambia strategia, che “dialoga” senza costrutto.

Un quadro contorto e viziato da errori esiziali che rischia di diventare drammatico quando alla fine – il prossimo dicembre – Obama dovrà prendere atto che il suo dialogo ha portato solo  a far marcire la situazione e non saprà che fare.